Giovanni Gentile, il maggiore filosofo italiano del Novecento, sin dagli anni studenteschi trascorsi a Pisa si appassionò allo studio del pensiero di Francesco De Sanctis, ritenendolo tra i nomi più insigni della cultura italiana. In questo ambito, pur tra immediate differenziazioni, nacque un importante sodalizio umano e intellettuale con Benedetto Croce, colui che aveva incessantemente lavorato per il ‘ritorno’ del Professore nel dibattito critico dal lontano 1895. Per quarant’anni e oltre i due filosofi duellarono senza esclusione di colpi nel nome di De Sanctis. Un De Sanctis filosofo quello gentiliano la cui meditazione sul problema dell’arte modificò radicalmente il modo di spiegare la letteratura e d’intendere la poesia. Studioso di Dante, Vico, Cuoco, Alfieri, Leopardi, Manzoni, Spaventa e dei profeti del Risorgimento (Mazzini, Rosmini, Gioberti), Gentile non trascurò mai di seguire il metodo desanctisiano – «l’estetica è una forma della filosofia» – depurato dalla sovrana mediazione del Croce. La potente scrittura del Professore, che «nessuno legge se lo intende senza sentirsi battere il cuore», lo aveva inevitabilmente attratto nel cerchio incantato del suo mondo commosso. Lo ‘scandaloso’ e fascista "Torniamo al De Sanctis!" del 1933, un testo di potente forza concettuale, occorre quindi rileggerlo come un momento riassuntivo del continuo ritorno al vero De Sanctis, che Gentile aveva così bene intuito negli anni della giovinezza e delineato sia nel limpido "Ricordo" del 1917 che nelle auree pagine del trattato "La filosofia dell’arte" del 1931.

«L’arte è forma sì, ma forma della vita». Una breve cronaca del continuo ‘tornare’ al De Sanctis di Giovanni Gentile

Antonio Iermano
2022-01-01

Abstract

Giovanni Gentile, il maggiore filosofo italiano del Novecento, sin dagli anni studenteschi trascorsi a Pisa si appassionò allo studio del pensiero di Francesco De Sanctis, ritenendolo tra i nomi più insigni della cultura italiana. In questo ambito, pur tra immediate differenziazioni, nacque un importante sodalizio umano e intellettuale con Benedetto Croce, colui che aveva incessantemente lavorato per il ‘ritorno’ del Professore nel dibattito critico dal lontano 1895. Per quarant’anni e oltre i due filosofi duellarono senza esclusione di colpi nel nome di De Sanctis. Un De Sanctis filosofo quello gentiliano la cui meditazione sul problema dell’arte modificò radicalmente il modo di spiegare la letteratura e d’intendere la poesia. Studioso di Dante, Vico, Cuoco, Alfieri, Leopardi, Manzoni, Spaventa e dei profeti del Risorgimento (Mazzini, Rosmini, Gioberti), Gentile non trascurò mai di seguire il metodo desanctisiano – «l’estetica è una forma della filosofia» – depurato dalla sovrana mediazione del Croce. La potente scrittura del Professore, che «nessuno legge se lo intende senza sentirsi battere il cuore», lo aveva inevitabilmente attratto nel cerchio incantato del suo mondo commosso. Lo ‘scandaloso’ e fascista "Torniamo al De Sanctis!" del 1933, un testo di potente forza concettuale, occorre quindi rileggerlo come un momento riassuntivo del continuo ritorno al vero De Sanctis, che Gentile aveva così bene intuito negli anni della giovinezza e delineato sia nel limpido "Ricordo" del 1917 che nelle auree pagine del trattato "La filosofia dell’arte" del 1931.
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