Quali e quanti significati ha veicolato il concetto di “coscienza” nella cultura moderna? La risposta travalica, ovviamente, i limiti di quanto si possa sintetizzare in poche pagine. Una prima indicazione è, però, possibile darla: questo concetto nasce nell’ambito di un epocale tentativo di riformulare in termini laici, cioè non partendo da dogmi di fede, quel dualismo che affondava le sue radici nella separazione cristiana tra “corpo” e “anima”. Emblema di una svolta epocale verso la laicizzazione di questo dualismo è, nel secolo della rivoluzione scientifica, il sistema cartesiano che, come è noto, tutto riduce all’esistenza di due sole “sostanze”: res cogitans (sostanza pensante) e res extensa (sostanza estesa). Dopo la svolta cartesiana, la parola “coscienza” diviene veicolo di diversi, concatenati, significati: essa indica la capacità dell’uomo di riflettere sulle proprie sensazioni e azioni, ma sottintende anche che l’essere pensante sia, non un corpo materiale, bensì sostanza meramente spirituale, convinzione che inizierà a vacillare solo dopo la critica kantiana. La stessa parola, intesa nel più ristretto significato di coscienza “morale”, assume, poi, proprio a partire da Immanuel Kant, il significato di una “legge morale” connaturata alla razionalità umana, e perciò “autonoma”, ovvero, non dipendente da fonti esterne come Dio, le Sacre Scritture, le leggi, le tradizioni. Essa continuerà ad essere collettore di questi diversi significati dall’epoca di Fichte a quella di Spencer, dalla stagione dell’idealismo a quella del positivismo. Nietzsche, nella seconda dissertazione della Genealogia della morale, tenta di demolire tutti i principali approcci all’uso di questo concetto fino ad allora tramandati dimostrando che, sia la capacità umana di riflettere sulle proprie azioni, sia i “tu devi”, ovvero gli obblighi morali che il singolo individuo sente come qualcosa di “naturale” e “interiore”, sono in realtà prodotti della storia sociale umana e dell’ambiente culturale in cui ognuno si è formato. Essi sono, più precisamente, secondo il filosofo, effetti di un processo millenario nel corso del quale la maggioranza degli esseri umani è stata indotta, attraverso premi e punizioni, abitudini e credenze, a interiorizzare i doveri imposti dai poteri vigenti, fino al punto di sentirli come qualcosa di spontaneo e sacro.
La genesi della "coscienza" nella Genealogia della morale di Nietzsche
Marco Celentano
2020-01-01
Abstract
Quali e quanti significati ha veicolato il concetto di “coscienza” nella cultura moderna? La risposta travalica, ovviamente, i limiti di quanto si possa sintetizzare in poche pagine. Una prima indicazione è, però, possibile darla: questo concetto nasce nell’ambito di un epocale tentativo di riformulare in termini laici, cioè non partendo da dogmi di fede, quel dualismo che affondava le sue radici nella separazione cristiana tra “corpo” e “anima”. Emblema di una svolta epocale verso la laicizzazione di questo dualismo è, nel secolo della rivoluzione scientifica, il sistema cartesiano che, come è noto, tutto riduce all’esistenza di due sole “sostanze”: res cogitans (sostanza pensante) e res extensa (sostanza estesa). Dopo la svolta cartesiana, la parola “coscienza” diviene veicolo di diversi, concatenati, significati: essa indica la capacità dell’uomo di riflettere sulle proprie sensazioni e azioni, ma sottintende anche che l’essere pensante sia, non un corpo materiale, bensì sostanza meramente spirituale, convinzione che inizierà a vacillare solo dopo la critica kantiana. La stessa parola, intesa nel più ristretto significato di coscienza “morale”, assume, poi, proprio a partire da Immanuel Kant, il significato di una “legge morale” connaturata alla razionalità umana, e perciò “autonoma”, ovvero, non dipendente da fonti esterne come Dio, le Sacre Scritture, le leggi, le tradizioni. Essa continuerà ad essere collettore di questi diversi significati dall’epoca di Fichte a quella di Spencer, dalla stagione dell’idealismo a quella del positivismo. Nietzsche, nella seconda dissertazione della Genealogia della morale, tenta di demolire tutti i principali approcci all’uso di questo concetto fino ad allora tramandati dimostrando che, sia la capacità umana di riflettere sulle proprie azioni, sia i “tu devi”, ovvero gli obblighi morali che il singolo individuo sente come qualcosa di “naturale” e “interiore”, sono in realtà prodotti della storia sociale umana e dell’ambiente culturale in cui ognuno si è formato. Essi sono, più precisamente, secondo il filosofo, effetti di un processo millenario nel corso del quale la maggioranza degli esseri umani è stata indotta, attraverso premi e punizioni, abitudini e credenze, a interiorizzare i doveri imposti dai poteri vigenti, fino al punto di sentirli come qualcosa di spontaneo e sacro.File | Dimensione | Formato | |
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