L’approvazione della Convention on the Rights of the Child (CRC) nel 1989 diede adito, in tutto il mondo, alla concretizzazione di progetti basati su significative sensibilità educative fino a quel momento non, o parzialmente, supportati, dalle normative nazionali. Negli anni seguenti, quasi tutte le nazioni assunsero la Convenzione nelle legislazioni nazionali. In Italia ciò avvenne con la legge 176 del 19911. Pur non riportando il testo della CRC espliciti riferimenti al diritto dei minori di partecipare alla progettazione di spazi, lo stesso contiene diversi riferimenti ai diritti: “di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni” (art. 9), “di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità” (art. 12), alla “libertà di espressione” (art. 13), alla “attiva partecipazione alla vita della comunità” (art. 23), “di partecipare pienamente alla vita culturale” (UNICEF, 2004). Tali riferimenti appaiono tuttavia fragili anche alla luce del paradosso per cui, proprio a partire dalla stesura della CRC “il bambino non ha avuto modo di partecipare al processo di definizione dei suoi stessi diritti” (Macinai, 2010, p. 93). Pertanto, pur essendo stato riconosciuto sul piano sociale e educativo attraverso la scuola, e sul piano giuridico attraverso la CRC, il bambino non ha ancora trovato realizzazione in una terza decisiva dimensione, quella politica, intesa nel senso più alto del termine come partecipazione ai processi di negoziazione e di esercizio concreto dei diritti di cittadinanza […] il soggetto giuridico di quei diritti è ancora un ‘oggetto’ politico (Macinai, 2010, p. 93). La ricerca e la sperimentazione pedagogica nel nostro Paese avevano anticipato fin dagli anni ’70 lo sfondo descritto poi dalla CRC: il sistema formativo integrato (Frabboni, 1980; Frabboni, 1989; Frabboni, Pagliarini, Tassinari, 1990; Frabboni, Guerra, 1991); l’idea della città educante (Gennari, 1989); di una semantica declinata come pedagogia della polis in cui è evidente che la “città contemporanea ha bisogno di educazione” (Gennari, 1995, p. 101) e di professioni educative collegate, anche, con l’animazione; della stessa come oggetto pedagogico “come rete di interventi educativi […] intenzionali in quanto rispondenti ad un disegno formativo complessivo” (Bertolini, 1989, p. 46). Riflessioni e ricerche che, in alcune regioni, avevano dato luogo a sperimentazioni, molte delle quali poi divenute pratiche organizzative e educative di eccellenza.

Le città sostenibili dei bambini: la progettazione partecipata degli spazi urbani

Borgogni A.
Conceptualization
;
Arduini M.
Resources
2017-01-01

Abstract

L’approvazione della Convention on the Rights of the Child (CRC) nel 1989 diede adito, in tutto il mondo, alla concretizzazione di progetti basati su significative sensibilità educative fino a quel momento non, o parzialmente, supportati, dalle normative nazionali. Negli anni seguenti, quasi tutte le nazioni assunsero la Convenzione nelle legislazioni nazionali. In Italia ciò avvenne con la legge 176 del 19911. Pur non riportando il testo della CRC espliciti riferimenti al diritto dei minori di partecipare alla progettazione di spazi, lo stesso contiene diversi riferimenti ai diritti: “di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni” (art. 9), “di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità” (art. 12), alla “libertà di espressione” (art. 13), alla “attiva partecipazione alla vita della comunità” (art. 23), “di partecipare pienamente alla vita culturale” (UNICEF, 2004). Tali riferimenti appaiono tuttavia fragili anche alla luce del paradosso per cui, proprio a partire dalla stesura della CRC “il bambino non ha avuto modo di partecipare al processo di definizione dei suoi stessi diritti” (Macinai, 2010, p. 93). Pertanto, pur essendo stato riconosciuto sul piano sociale e educativo attraverso la scuola, e sul piano giuridico attraverso la CRC, il bambino non ha ancora trovato realizzazione in una terza decisiva dimensione, quella politica, intesa nel senso più alto del termine come partecipazione ai processi di negoziazione e di esercizio concreto dei diritti di cittadinanza […] il soggetto giuridico di quei diritti è ancora un ‘oggetto’ politico (Macinai, 2010, p. 93). La ricerca e la sperimentazione pedagogica nel nostro Paese avevano anticipato fin dagli anni ’70 lo sfondo descritto poi dalla CRC: il sistema formativo integrato (Frabboni, 1980; Frabboni, 1989; Frabboni, Pagliarini, Tassinari, 1990; Frabboni, Guerra, 1991); l’idea della città educante (Gennari, 1989); di una semantica declinata come pedagogia della polis in cui è evidente che la “città contemporanea ha bisogno di educazione” (Gennari, 1995, p. 101) e di professioni educative collegate, anche, con l’animazione; della stessa come oggetto pedagogico “come rete di interventi educativi […] intenzionali in quanto rispondenti ad un disegno formativo complessivo” (Bertolini, 1989, p. 46). Riflessioni e ricerche che, in alcune regioni, avevano dato luogo a sperimentazioni, molte delle quali poi divenute pratiche organizzative e educative di eccellenza.
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