Il prezzo del petrolio è storicamente in relazione con l’andamento della transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili: è la variabile indipendente, che determina l’ammontare degli investimenti non solo nelle diverse fasi produttive e di trasformazione del greggio, ma anche nelle rinnovabili. Con il prezzo del petrolio alto si hanno più investimenti all’interno del sistema petrolifero: è accaduto, per esempio, a partire dai primi anni 2000, negli Stati Uniti con lo sfruttamento di costosi giacimenti non convenzionali di tight oil. Con un prezzo basso, al contrario, gli investimenti – soprattutto nell’upstream – si riducono. Ma con prezzo alto del petrolio si registrano anche più investimenti in rinnovabili. Un primo segnale di parziale disaccoppiamento tra prezzo del petrolio e investimenti in rinnovabili lo abbiamo nel 2015, quando, nonostante il crollo del prezzo del petrolio, l’aggiunta di capacità di generazione di energia elettrica con solare e eolico continua il suo percorso di crescita, rafforzato in seguito dalla ripresa del prezzo del greggio del 2017-2018. Gli ultimi due anni del periodo considerato sono, verosimilmente, il segnale di un ulteriore cambio di rotta. Infatti, il nuovo calo del prezzo del petrolio registrato tra 2019 e 2020, vede nuovamente e in maniera più chiara divergere la curva del prezzo e quella della nuova capacità di generazione delle rinnovabili: la prima piega in basso, la seconda in alto. La pandemia COVID-19, che ha provocato un crollo della domanda di energia, in effetti, non ha influito in egual misura sul petrolio e sulle rinnovabili, che hanno conservato posizioni più solide in merito alla produzione e agli investimenti. A maggio 2021, la International Energy Agency – IEA – pubblica il rapporto Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector, nel quale si afferma che «There is no need for investment in new fossil fuel supply in our net zero pathway» . Questa perentoria affermazione dell’IEA ha reso irrequieto il sistema del petrolio stesso, in quanto l’IEA è in grado di determinare le scelte degli investitori o comunque di segnarne la strada. La spinta contenuta in questo rapporto a investire in alternative ai combustibili fossili, dopo aver abbandonato gli investimenti nel petrolio, sta a indicare che le alternative al petrolio e ai combustibili fossili sono potenzialmente in grado di sostituire questi ultimi, come capacità produttiva e programmabilità. Quello dell’IEA sembra un implicito invito alle compagnie petrolifere a dirottare parte degli investimenti ver- so le rinnovabili, poiché la loro crescita è un dato acquisito, e perché rappresentano un ottimo investimento, anche per le majors petrolifere. Le compagnie petrolifere, in generale, non amano investire in rinnovabili, anche se, soprattutto tra 2020 e 2021, le compagnie petrolifere europee hanno fatto dichiarazioni di piena adesione ai principi dell’Accordo di Parigi o hanno intrapreso nuovi progetti a basse o nulle emissioni di carbonio. I detrattori della transizione energetica avanzano l’ipotesi che il petrolio e i combustibili fossili non sono così facilmente sostituibili. Le tecnologie per la sostituzione del petrolio potrebbero essere costose e impraticabili – per esempio, a causa della scarsità di materie prime necessarie per la produzione di batterie per lo stoccaggio dell’energia – e ci si potrebbe rendere conto di ciò troppo tardi, quando – con il petrolio diventato uno standed asset – anni di sottoinvestimenti nell’upstream petrolifero potrebbero portare a una scarsità energetica senza precedenti, dopo un periodo di abbondanza appena vissuto. Il passaggio da una energia fossile a una rinnovabile potrebbe avvenire nel modo in cui l’economia delle ri- sorse prevedeva: nel momento in cui carbone petrolio e gas diventano degli stranded assets, restano sotto terra e non importa affatto quanta di questa materia prima energetica sia rimasta inutilizza o unburned: è solo una curiosità geologica, non un fatto economico. Ma forse non avverrà, come l’economia delle risorse prevedeva, attraverso i «normali» meccanismi di mercato, vista l’abbondanza di offerta di combustibili fossili, bensì dietro la spinta pressante delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico.
Transizione energetica e petrolio
Domenico de Vincenzo
2023-01-01
Abstract
Il prezzo del petrolio è storicamente in relazione con l’andamento della transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili: è la variabile indipendente, che determina l’ammontare degli investimenti non solo nelle diverse fasi produttive e di trasformazione del greggio, ma anche nelle rinnovabili. Con il prezzo del petrolio alto si hanno più investimenti all’interno del sistema petrolifero: è accaduto, per esempio, a partire dai primi anni 2000, negli Stati Uniti con lo sfruttamento di costosi giacimenti non convenzionali di tight oil. Con un prezzo basso, al contrario, gli investimenti – soprattutto nell’upstream – si riducono. Ma con prezzo alto del petrolio si registrano anche più investimenti in rinnovabili. Un primo segnale di parziale disaccoppiamento tra prezzo del petrolio e investimenti in rinnovabili lo abbiamo nel 2015, quando, nonostante il crollo del prezzo del petrolio, l’aggiunta di capacità di generazione di energia elettrica con solare e eolico continua il suo percorso di crescita, rafforzato in seguito dalla ripresa del prezzo del greggio del 2017-2018. Gli ultimi due anni del periodo considerato sono, verosimilmente, il segnale di un ulteriore cambio di rotta. Infatti, il nuovo calo del prezzo del petrolio registrato tra 2019 e 2020, vede nuovamente e in maniera più chiara divergere la curva del prezzo e quella della nuova capacità di generazione delle rinnovabili: la prima piega in basso, la seconda in alto. La pandemia COVID-19, che ha provocato un crollo della domanda di energia, in effetti, non ha influito in egual misura sul petrolio e sulle rinnovabili, che hanno conservato posizioni più solide in merito alla produzione e agli investimenti. A maggio 2021, la International Energy Agency – IEA – pubblica il rapporto Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector, nel quale si afferma che «There is no need for investment in new fossil fuel supply in our net zero pathway» . Questa perentoria affermazione dell’IEA ha reso irrequieto il sistema del petrolio stesso, in quanto l’IEA è in grado di determinare le scelte degli investitori o comunque di segnarne la strada. La spinta contenuta in questo rapporto a investire in alternative ai combustibili fossili, dopo aver abbandonato gli investimenti nel petrolio, sta a indicare che le alternative al petrolio e ai combustibili fossili sono potenzialmente in grado di sostituire questi ultimi, come capacità produttiva e programmabilità. Quello dell’IEA sembra un implicito invito alle compagnie petrolifere a dirottare parte degli investimenti ver- so le rinnovabili, poiché la loro crescita è un dato acquisito, e perché rappresentano un ottimo investimento, anche per le majors petrolifere. Le compagnie petrolifere, in generale, non amano investire in rinnovabili, anche se, soprattutto tra 2020 e 2021, le compagnie petrolifere europee hanno fatto dichiarazioni di piena adesione ai principi dell’Accordo di Parigi o hanno intrapreso nuovi progetti a basse o nulle emissioni di carbonio. I detrattori della transizione energetica avanzano l’ipotesi che il petrolio e i combustibili fossili non sono così facilmente sostituibili. Le tecnologie per la sostituzione del petrolio potrebbero essere costose e impraticabili – per esempio, a causa della scarsità di materie prime necessarie per la produzione di batterie per lo stoccaggio dell’energia – e ci si potrebbe rendere conto di ciò troppo tardi, quando – con il petrolio diventato uno standed asset – anni di sottoinvestimenti nell’upstream petrolifero potrebbero portare a una scarsità energetica senza precedenti, dopo un periodo di abbondanza appena vissuto. Il passaggio da una energia fossile a una rinnovabile potrebbe avvenire nel modo in cui l’economia delle ri- sorse prevedeva: nel momento in cui carbone petrolio e gas diventano degli stranded assets, restano sotto terra e non importa affatto quanta di questa materia prima energetica sia rimasta inutilizza o unburned: è solo una curiosità geologica, non un fatto economico. Ma forse non avverrà, come l’economia delle risorse prevedeva, attraverso i «normali» meccanismi di mercato, vista l’abbondanza di offerta di combustibili fossili, bensì dietro la spinta pressante delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico.File | Dimensione | Formato | |
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