Il contributo al volume promosso dall’Università di Napoli “Federico II”, è dedicato ad alcuni aspetti di quel particolare modello di industria culturale strutturatosi intorno alla canzone napoletana fin de siècle, e alla sua peculiare capacità di connettere e sfruttare, nella tipica categoria della “napoletanità”, le tematiche dell’elaborazione, negoziazione, difesa e rigenerazione dell’“identità” locale e della creazione dell’immagine generata dalle attività culturali, all’interno di una dinamica di “glocalizzazione”, intesa come quel doppio movimento della cultura che, mentre si apre e si omogeneizza al globale, nello stesso tempo valorizza alcuni aspetti del locale, per garantire la necessaria dinamica culturale, ma anche per sfruttarli economicamente. Grazie all’osservazione di fenomeno comunicativo in cui la produzione di senso avviene per la maggior parte “fuori testo”, grazie alla cooperazione interpretativa dei destinatari, in letture attivate da punti di vista costruiti nella/dalla tensione dialettica fra le spinte all’integrazione culturale ed economica ed il persistere della peculiarità locale, pare lecito ipotizzare un processo di produzione culturale industriale con numerose analogie con la produzione di beni e servizi postfordista (o postindustriale, come alcuni preferiscono chiamare il tempo e il modo di produzione contemporanei). La produzione di valore vi avviene, infatti, prevalentemente durante il tempo di “non lavoro”, nella sfera della “riproduzione” (dove sono fondamentali conoscenza, capacità relazionale ed affettiva, di comunicazione), nell’ambito del consumo e con l’impiego di “materie prime” come conoscenza e informazione, le cui accumulazione, circolazione e trasmissione avvengono al di fuori dell’ambito strettamente economico: nelle famiglie, nelle istituzioni formative, nelle diverse agenzie di socializzazione, nelle interazioni quotidiane, negli scambi e nelle reti sociali. In entrambi i processi produttivi, l’uso del patrimonio sociale costituito dalla conoscenza si coniuga a logiche non economiche, perlopiù legate al «mercato della fama» e al riconoscimento pubblico da parte dei pari.

Il futuro alle spalle. Canzone napoletana fin de siècle e industria culturale

STAZIO, Marialuisa
2008-01-01

Abstract

Il contributo al volume promosso dall’Università di Napoli “Federico II”, è dedicato ad alcuni aspetti di quel particolare modello di industria culturale strutturatosi intorno alla canzone napoletana fin de siècle, e alla sua peculiare capacità di connettere e sfruttare, nella tipica categoria della “napoletanità”, le tematiche dell’elaborazione, negoziazione, difesa e rigenerazione dell’“identità” locale e della creazione dell’immagine generata dalle attività culturali, all’interno di una dinamica di “glocalizzazione”, intesa come quel doppio movimento della cultura che, mentre si apre e si omogeneizza al globale, nello stesso tempo valorizza alcuni aspetti del locale, per garantire la necessaria dinamica culturale, ma anche per sfruttarli economicamente. Grazie all’osservazione di fenomeno comunicativo in cui la produzione di senso avviene per la maggior parte “fuori testo”, grazie alla cooperazione interpretativa dei destinatari, in letture attivate da punti di vista costruiti nella/dalla tensione dialettica fra le spinte all’integrazione culturale ed economica ed il persistere della peculiarità locale, pare lecito ipotizzare un processo di produzione culturale industriale con numerose analogie con la produzione di beni e servizi postfordista (o postindustriale, come alcuni preferiscono chiamare il tempo e il modo di produzione contemporanei). La produzione di valore vi avviene, infatti, prevalentemente durante il tempo di “non lavoro”, nella sfera della “riproduzione” (dove sono fondamentali conoscenza, capacità relazionale ed affettiva, di comunicazione), nell’ambito del consumo e con l’impiego di “materie prime” come conoscenza e informazione, le cui accumulazione, circolazione e trasmissione avvengono al di fuori dell’ambito strettamente economico: nelle famiglie, nelle istituzioni formative, nelle diverse agenzie di socializzazione, nelle interazioni quotidiane, negli scambi e nelle reti sociali. In entrambi i processi produttivi, l’uso del patrimonio sociale costituito dalla conoscenza si coniuga a logiche non economiche, perlopiù legate al «mercato della fama» e al riconoscimento pubblico da parte dei pari.
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