Nel Chevalier au Lion Chrétien configura il concetto stesso di alterità nei termini di una opposizione tra cortoisie e vilenie, descrivendo vere e proprie forme di abbassamento della nobiltà di rango ai livelli più infimi della scala sociale. Ogni forma di alterità rispetto alla dimensione cortese assume modalità sempre rilevanti da un punto di vista sociale e giuridico, che spiegano le ragioni delle circostanze narrate in termini straordinariamente mondani. La demoisele nipote di Gauvain rischia di essere avviata alla prostituzione, i giovani cavalieri suoi fratelli sono legati e frustati da un nano e indossano abiti logori di nessun valore, le giovani prigioniere dell’Ile des Puceles vivono in condizioni miserabili e prigioniere in un campo di lavoro recintato. In nessuno di questi casi la descrizione dell’alterità proietta davvero i personaggi in una dimensione mitografica prevalente al punto da obliterare la natura profondamente mondana delle circostanze descritte. La “banalità del male”, variamente mistificata in senso magico e ultra-mondano, emerge chiaramente da una descrizione romanzesca, che sempre certifica la ragione sociale e giuridica del crimine, della prigionia e dello sfruttamento. L’idea di realismo che emerge da questa procedura autoriale è (e non potrebbe essere altrimenti) sintesi di quel rapporto dialettico che sempre oppone le forme della tradizione e quelle della storia, le forme dell’intrattenimento e quelle del potere.

Prospettivismo e “banalità del male” nel Chevalier au Lion di Chrétien de Troyes

Anatole Pierre Fuksas
2020-01-01

Abstract

Nel Chevalier au Lion Chrétien configura il concetto stesso di alterità nei termini di una opposizione tra cortoisie e vilenie, descrivendo vere e proprie forme di abbassamento della nobiltà di rango ai livelli più infimi della scala sociale. Ogni forma di alterità rispetto alla dimensione cortese assume modalità sempre rilevanti da un punto di vista sociale e giuridico, che spiegano le ragioni delle circostanze narrate in termini straordinariamente mondani. La demoisele nipote di Gauvain rischia di essere avviata alla prostituzione, i giovani cavalieri suoi fratelli sono legati e frustati da un nano e indossano abiti logori di nessun valore, le giovani prigioniere dell’Ile des Puceles vivono in condizioni miserabili e prigioniere in un campo di lavoro recintato. In nessuno di questi casi la descrizione dell’alterità proietta davvero i personaggi in una dimensione mitografica prevalente al punto da obliterare la natura profondamente mondana delle circostanze descritte. La “banalità del male”, variamente mistificata in senso magico e ultra-mondano, emerge chiaramente da una descrizione romanzesca, che sempre certifica la ragione sociale e giuridica del crimine, della prigionia e dello sfruttamento. L’idea di realismo che emerge da questa procedura autoriale è (e non potrebbe essere altrimenti) sintesi di quel rapporto dialettico che sempre oppone le forme della tradizione e quelle della storia, le forme dell’intrattenimento e quelle del potere.
2020
978-88-9377-164-1
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