Il saggio analizza le analogie tra le tecniche letterarie utilizzate da Lewis Carroll e James Joyce, con particolare riferimento al nonsense. Inizialmente viene ricostruito lo spiccato interesse che entrambi gli autori avevano per tutti i fenomeni linguistici (etimologia, filologia, parodia, giochi di parole, ecc.) e per le diverse funzioni dei segni linguistici. Questo interesse si coniugava con problemi di logica derivanti dalla possibilità di combinare e alterare fonemi o parole intere, ridisponendoli nella sequenza fonematica o sintagmatica come fossero pedine di un gioco divertente, ma dagli esiti surreali. Nonostante la similarità, però, per Joyce l’indeterminatezza e l’ambiguità lessicale servono a suggerire un’affinità semantica anche molto distante al fine di produrre amplificazioni di significato, mentre per Carroll gli equivoci lessicali, sintattici e contestuali mostravano quanto sottile fosse il confine tra sense e nonsense e con quanta facilità si potesse generare confusione. La seconda parte del saggio si sofferma sul nonsense non semplicemente come una metanarrazione la cui profondità è tutta contenuta entro i rassicuranti confini di un testo letterario. Esso eccede continuamente tali steccati e invade la realtà stessa. Le parole che confondono Alice e Stephen Dedalus, disorientano anche noi, mettendo in dubbio la loro, e la nostra, capacità o possibilità di controllare i significati, rendendo instabile la comprensione e incerte le modalità di appercezione e comunicazione attraverso la lingua. Dietro il carattere benigno, l’apparente leggerezza e l’impalpabile follia del nonsense si celano, dunque, profondi dubbi epistemologici e ontologici, in quanto è proprio attraverso il linguaggio ed i giochi di parole che Carroll e Joyce interrogano il nostro modo di comprendere, conoscere e comunicare attraverso il linguaggio, nonché la visione rassicurante di noi stessi e del mondo. Per Alice e per Stephen Dedalus non esistono significati stabili ed univoci, e tutto, dalle parole alla realtà, si trasforma sotto la pressione delle loro domande e delle loro incertezze. Il loro è un mondo instabile e metamorfico in cui la continua trasformazione, implica un processo incessante di rinegoziazione dei significati e ridefinizione della propria identità.

All old Dadgerson's dodges: language and meaning in Lewis Carroll and James Joyce

BARONTI MARCHIO', Roberto
2006-01-01

Abstract

Il saggio analizza le analogie tra le tecniche letterarie utilizzate da Lewis Carroll e James Joyce, con particolare riferimento al nonsense. Inizialmente viene ricostruito lo spiccato interesse che entrambi gli autori avevano per tutti i fenomeni linguistici (etimologia, filologia, parodia, giochi di parole, ecc.) e per le diverse funzioni dei segni linguistici. Questo interesse si coniugava con problemi di logica derivanti dalla possibilità di combinare e alterare fonemi o parole intere, ridisponendoli nella sequenza fonematica o sintagmatica come fossero pedine di un gioco divertente, ma dagli esiti surreali. Nonostante la similarità, però, per Joyce l’indeterminatezza e l’ambiguità lessicale servono a suggerire un’affinità semantica anche molto distante al fine di produrre amplificazioni di significato, mentre per Carroll gli equivoci lessicali, sintattici e contestuali mostravano quanto sottile fosse il confine tra sense e nonsense e con quanta facilità si potesse generare confusione. La seconda parte del saggio si sofferma sul nonsense non semplicemente come una metanarrazione la cui profondità è tutta contenuta entro i rassicuranti confini di un testo letterario. Esso eccede continuamente tali steccati e invade la realtà stessa. Le parole che confondono Alice e Stephen Dedalus, disorientano anche noi, mettendo in dubbio la loro, e la nostra, capacità o possibilità di controllare i significati, rendendo instabile la comprensione e incerte le modalità di appercezione e comunicazione attraverso la lingua. Dietro il carattere benigno, l’apparente leggerezza e l’impalpabile follia del nonsense si celano, dunque, profondi dubbi epistemologici e ontologici, in quanto è proprio attraverso il linguaggio ed i giochi di parole che Carroll e Joyce interrogano il nostro modo di comprendere, conoscere e comunicare attraverso il linguaggio, nonché la visione rassicurante di noi stessi e del mondo. Per Alice e per Stephen Dedalus non esistono significati stabili ed univoci, e tutto, dalle parole alla realtà, si trasforma sotto la pressione delle loro domande e delle loro incertezze. Il loro è un mondo instabile e metamorfico in cui la continua trasformazione, implica un processo incessante di rinegoziazione dei significati e ridefinizione della propria identità.
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