Il principio del libero convincimento, pur appartenendo al nucleo dei valori che qualificano l’accertamento giurisdizionale, non esprime un significato unico e immutabile, ma assume connotazioni diverse a seconda delle realtà normative in cui viene calato: per questa ragione, il tema è affrontato, in primo luogo, in prospettiva storica, tracciando un’ideale parabola evolutiva, in cui la fase ascendente coincide con la vigenza dei sistemi improntati alla tutela di garanzie individuali, mentre quella discendente caratterizza i regimi prevalentemente autoritari. La definizione del libero convincimento — che rappresenta un criterio di ricostruzione del fatto storico oggetto di imputazione, distinto dalla discrezionalità concessa al giudice nell’applicazione delle norme giuridiche — non può prescindere dal significato da attribuire all’aggettivo “libero”. Se esso, per un verso, esprime il rifiuto del sistema delle prove legali, non vale ad escludere, per altro verso, l’adozione di regole normative che orientano il giudice nella decisione sul fatto. In chiave normativa, il libero convincimento si risolve, infatti, nella individuazione dei limiti che il legislatore pone all’apprezzamento dei dati probatori e, prima ancora, alla loro formazione. La trattazione, dopo aver delineato l’evoluzione del principio, si sofferma sulla fisionomia che lo stesso ha assunto nel vigente sistema processuale. La previsione dell’art. 192 c.p.p. — collocata tra le disposizioni generali in tema di prova e, quindi, potenzialmente applicabile a qualunque fase processuale — esplicita il principio, prevedendo, nel contempo, i limiti all’esercizio indiscriminato del potere decisorio. In tale contesto, il collegamento tra valutazione della prova e obbligo di motivazione segnala l’adesione ad una concezione razionalistica del libero convincimento. La disciplina codicistica non si esaurisce, tuttavia, nell’imposizione di un apprezzamento razionale dei dati probatori, ma è connotata dalla previsione di ulteriori garanzie, volte a prevenire, direttamente o indirettamente, il rischio dell’arbitrio. Vengono analizzate, in quest’ottica, le regole dettate in tema di valutazione della prova indiziaria, nonché quelle riferite alle dichiarazioni rese da soggetti potenzialmente “interessati”, come l’imputato di reato connesso o collegato e la persona offesa dal reato. Individuati i limiti posti dal legislatore per selezionare gli elementi di prova utilizzabili ai fini della decisione, si evidenzia, infine, che le regole di giudizio — quelle, cioè, applicate dal giudice in funzione della pronuncia sulla res iudicanda — non possono che operare in un momento successivo rispetto alla valutazione dei contributi offerti dalle singole fonti di prova legittimamente acquisite nel corso dell’attività istruttoria.
Il principio del libero convincimento
DELLA MONICA, Giuseppe
2009-01-01
Abstract
Il principio del libero convincimento, pur appartenendo al nucleo dei valori che qualificano l’accertamento giurisdizionale, non esprime un significato unico e immutabile, ma assume connotazioni diverse a seconda delle realtà normative in cui viene calato: per questa ragione, il tema è affrontato, in primo luogo, in prospettiva storica, tracciando un’ideale parabola evolutiva, in cui la fase ascendente coincide con la vigenza dei sistemi improntati alla tutela di garanzie individuali, mentre quella discendente caratterizza i regimi prevalentemente autoritari. La definizione del libero convincimento — che rappresenta un criterio di ricostruzione del fatto storico oggetto di imputazione, distinto dalla discrezionalità concessa al giudice nell’applicazione delle norme giuridiche — non può prescindere dal significato da attribuire all’aggettivo “libero”. Se esso, per un verso, esprime il rifiuto del sistema delle prove legali, non vale ad escludere, per altro verso, l’adozione di regole normative che orientano il giudice nella decisione sul fatto. In chiave normativa, il libero convincimento si risolve, infatti, nella individuazione dei limiti che il legislatore pone all’apprezzamento dei dati probatori e, prima ancora, alla loro formazione. La trattazione, dopo aver delineato l’evoluzione del principio, si sofferma sulla fisionomia che lo stesso ha assunto nel vigente sistema processuale. La previsione dell’art. 192 c.p.p. — collocata tra le disposizioni generali in tema di prova e, quindi, potenzialmente applicabile a qualunque fase processuale — esplicita il principio, prevedendo, nel contempo, i limiti all’esercizio indiscriminato del potere decisorio. In tale contesto, il collegamento tra valutazione della prova e obbligo di motivazione segnala l’adesione ad una concezione razionalistica del libero convincimento. La disciplina codicistica non si esaurisce, tuttavia, nell’imposizione di un apprezzamento razionale dei dati probatori, ma è connotata dalla previsione di ulteriori garanzie, volte a prevenire, direttamente o indirettamente, il rischio dell’arbitrio. Vengono analizzate, in quest’ottica, le regole dettate in tema di valutazione della prova indiziaria, nonché quelle riferite alle dichiarazioni rese da soggetti potenzialmente “interessati”, come l’imputato di reato connesso o collegato e la persona offesa dal reato. Individuati i limiti posti dal legislatore per selezionare gli elementi di prova utilizzabili ai fini della decisione, si evidenzia, infine, che le regole di giudizio — quelle, cioè, applicate dal giudice in funzione della pronuncia sulla res iudicanda — non possono che operare in un momento successivo rispetto alla valutazione dei contributi offerti dalle singole fonti di prova legittimamente acquisite nel corso dell’attività istruttoria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.