Il saggio propone una disamina degli orientamenti prevalenti nell’ambito dell’antropologia di orientamento darwiniano, e degli studi sulle menti, le società e le culture animali. La ricerca etologica e le scienze cognitive, osserva l’autore, hanno documentato ormai oltre ogni ragionevole dubbio il fatto che conoscenza, pensiero e cultura non sono prerogative esclusive dell’essere umano. Questa acquisizione implica una riflessione critica sulle procedure d’indagine e sull’oggetto stesso della ricerca antropologica, e un ripensamento dello “specifico umano”. su basi post-essenzialistiche, post-antropocentriche e post-disciplinari. Oggi, innanzitutto, antropologia non può più significare studio dell’uomo. L’orizzonte adeguato per un’antropologia genealogica è quello di uno studio comparato di tutte le specie, società e culture antropoidi, ovvero, appartenenti al grande sottordine degli Anthropoidea. Eppure, suggerisce Celentano, l’approccio genealogico, di per sé, non basta a garantire, di fronte a problematiche così complesse, un’impostazione critica. Essa dovrebbe scaturire dal congiunto sforzo di un trascendimento dei presupposti antropocentrici dell’antropologia tradizionale e di un abbandono dell’approccio meramente adattazionista, e non di rado riduzionista, da cui presero le mosse, ai loro esordi, l’etologia umana e la sociobiologia. Il confronto tra categorie, metodi e risultati di un ampio spettro di ambiti di ricerca, inerenti alla storia dei comportamenti, dovrebbe oggi andare di pari passo con una critica degli assetti disciplinari che consenta a chi li rappresenta di interrogarsi sulla propria storia personale e professionale, e sui propri dispositivi eremeneutici, interloquendo con altri a partire da tale riflessione autocritica.

Per un'antropologia genealogica

CELENTANO, Marco
2012-01-01

Abstract

Il saggio propone una disamina degli orientamenti prevalenti nell’ambito dell’antropologia di orientamento darwiniano, e degli studi sulle menti, le società e le culture animali. La ricerca etologica e le scienze cognitive, osserva l’autore, hanno documentato ormai oltre ogni ragionevole dubbio il fatto che conoscenza, pensiero e cultura non sono prerogative esclusive dell’essere umano. Questa acquisizione implica una riflessione critica sulle procedure d’indagine e sull’oggetto stesso della ricerca antropologica, e un ripensamento dello “specifico umano”. su basi post-essenzialistiche, post-antropocentriche e post-disciplinari. Oggi, innanzitutto, antropologia non può più significare studio dell’uomo. L’orizzonte adeguato per un’antropologia genealogica è quello di uno studio comparato di tutte le specie, società e culture antropoidi, ovvero, appartenenti al grande sottordine degli Anthropoidea. Eppure, suggerisce Celentano, l’approccio genealogico, di per sé, non basta a garantire, di fronte a problematiche così complesse, un’impostazione critica. Essa dovrebbe scaturire dal congiunto sforzo di un trascendimento dei presupposti antropocentrici dell’antropologia tradizionale e di un abbandono dell’approccio meramente adattazionista, e non di rado riduzionista, da cui presero le mosse, ai loro esordi, l’etologia umana e la sociobiologia. Il confronto tra categorie, metodi e risultati di un ampio spettro di ambiti di ricerca, inerenti alla storia dei comportamenti, dovrebbe oggi andare di pari passo con una critica degli assetti disciplinari che consenta a chi li rappresenta di interrogarsi sulla propria storia personale e professionale, e sui propri dispositivi eremeneutici, interloquendo con altri a partire da tale riflessione autocritica.
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