In queste pagine si tenta di esplorare un universum che hanno attraversato in tanti, a partire anche dalle sollecitazioni dell’opera di Niklas Luhmann Das Recht der Gesellschaft, in particolare del capitolo 8 intitolato Argomentazione giuridica che conduce a riconsiderare la questione dell’ermeneutica sulla base della conoscenza della questione dell’empatia . L’esigenza e l’urgenza di una simile questione è determinata dall’apparente contrasto che lega l’empatia al diritto, tale da farla apparire nell’equivoca veste del sentimento , senza considerare che l’attività empatica – il più banale ‘mettersi nei panni dell’altro’ – si rivolge ad un’alterità costitutiva della relazione: l’ermeneutica altro non è se non comprensione e la prima attività del ‘comprendere’ si rivolge a colui che si pone in un nesso dialogico. L’attività interpretativa è empatia, non sentimento, né pathos, né tantomeno comprensione solidaristica: volgersi all’altro è un momento ermeneutico empatico, di comprensione dell’altrui posizione e del suo stato d’animo e il diritto, da parte sua, non può strutturarsi secondo la pietà o la morale o secondo un sentimento che nel rappresentarsi come ‘rapporto tra finito ed infinito’ colloca il diritto in una dimensione sempre rinviante: la giustizia non è considerabile infinito né il diritto positivo finito. In questa strettoia è doveroso non considerare la giustizia una universale dipendenza, al pari della struttura che si adotta in modo argomentativo nella religione; l’unico a priori rimane, per quanto riguarda il diritto, nella scelta dell’uomo di considerare doverosamente l’alterità in una dimensione costitutiva che esclude esercizio di violenza nei confronti di un alter titolare paritario di diritti universali ed incondizionati. L’infinito non sta nell’universalità e nell’incondizionatezza dei diritti, la regola richiama il senso giuridico ed è spirito in quanto atto della volontà di iscrivere un senso nella progettualità umana attraverso l’istituzione della legalità. In questo Schleiermacher marca il significato della differenza tra religione e diritto, ma anche tra pietà e diritto quando sottolinea «avreste … una situazione conforme al diritto se la sua esistenza si fondasse sulla pietà?» , la verità è che questa proposta smitizza la questione di un giuridico istituito come volontà di un sentimento di qualcosa, quindi di un’ipotesi psicologistica: il diritto non può dipendere da nulla, non può essere condizionato da un’universale dipendenza: «neppure della moralità, che in effetti gli sta più vicino, deve aver bisogno il diritto … deve stare esclusivamente per conto suo» , il che non significa ipotesi di dominio sull’alterità, ma separazione consapevole nell’esercizio della virtù in quanto «primo, eminente interesse della ragione» che nel caso del diritto si concretizza nella ricerca del giusto. Ma si può cominciare da un incipit di natura storiografica che permette di chiarificare – seppure solo in modo cronologico – la complessità che comporta l’interpretare.

Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann

AVITABILE, Luisa
2012-01-01

Abstract

In queste pagine si tenta di esplorare un universum che hanno attraversato in tanti, a partire anche dalle sollecitazioni dell’opera di Niklas Luhmann Das Recht der Gesellschaft, in particolare del capitolo 8 intitolato Argomentazione giuridica che conduce a riconsiderare la questione dell’ermeneutica sulla base della conoscenza della questione dell’empatia . L’esigenza e l’urgenza di una simile questione è determinata dall’apparente contrasto che lega l’empatia al diritto, tale da farla apparire nell’equivoca veste del sentimento , senza considerare che l’attività empatica – il più banale ‘mettersi nei panni dell’altro’ – si rivolge ad un’alterità costitutiva della relazione: l’ermeneutica altro non è se non comprensione e la prima attività del ‘comprendere’ si rivolge a colui che si pone in un nesso dialogico. L’attività interpretativa è empatia, non sentimento, né pathos, né tantomeno comprensione solidaristica: volgersi all’altro è un momento ermeneutico empatico, di comprensione dell’altrui posizione e del suo stato d’animo e il diritto, da parte sua, non può strutturarsi secondo la pietà o la morale o secondo un sentimento che nel rappresentarsi come ‘rapporto tra finito ed infinito’ colloca il diritto in una dimensione sempre rinviante: la giustizia non è considerabile infinito né il diritto positivo finito. In questa strettoia è doveroso non considerare la giustizia una universale dipendenza, al pari della struttura che si adotta in modo argomentativo nella religione; l’unico a priori rimane, per quanto riguarda il diritto, nella scelta dell’uomo di considerare doverosamente l’alterità in una dimensione costitutiva che esclude esercizio di violenza nei confronti di un alter titolare paritario di diritti universali ed incondizionati. L’infinito non sta nell’universalità e nell’incondizionatezza dei diritti, la regola richiama il senso giuridico ed è spirito in quanto atto della volontà di iscrivere un senso nella progettualità umana attraverso l’istituzione della legalità. In questo Schleiermacher marca il significato della differenza tra religione e diritto, ma anche tra pietà e diritto quando sottolinea «avreste … una situazione conforme al diritto se la sua esistenza si fondasse sulla pietà?» , la verità è che questa proposta smitizza la questione di un giuridico istituito come volontà di un sentimento di qualcosa, quindi di un’ipotesi psicologistica: il diritto non può dipendere da nulla, non può essere condizionato da un’universale dipendenza: «neppure della moralità, che in effetti gli sta più vicino, deve aver bisogno il diritto … deve stare esclusivamente per conto suo» , il che non significa ipotesi di dominio sull’alterità, ma separazione consapevole nell’esercizio della virtù in quanto «primo, eminente interesse della ragione» che nel caso del diritto si concretizza nella ricerca del giusto. Ma si può cominciare da un incipit di natura storiografica che permette di chiarificare – seppure solo in modo cronologico – la complessità che comporta l’interpretare.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11580/22008
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