Il saggio propone una riflessione sulla dimensione del “sacro” nella musica del XX secolo. Se per “musica sacra” si intende, in continuità con la tradizione dei secoli precedenti, una produzione destinata al culto e alla funzione liturgica, o comunque una musica volta ad esprimere un’esplicita dichiarazione di fede, ci si troverà di fronte a un corpus di opere abbastanza limitato. Il senso del religioso che alimenta l’universo espressivo dei compositori del XX secolo è in molti casi un sentimento riposto, problematico e sofferto, che appartiene alla sfera privatissima della spiritualità individuale; non per questo, tuttavia, la religiosità di un musicista deve essere liquidata come un mero dato biografico, destinato a non esercitare alcun peso sulle sue scelte artistiche. Più che sul piano dell’espressione di "contenuti" religiosi, infatti, il rapporto con la dimensione del trascendente si stabilisce a un livello puramente formale, attivando una simbologia profondamente radicata nella sostanza poetica della creazione; dando vita, allo stesso tempo, a universo di idee e modelli di comportamento destinati a condizionare in modo determinante l’intera esperienza novecentesca. Si pensi alla vocazione “messianica” di molti compositori, ai problemi legati alla comunicazione di un messaggio artistico di difficile comprensione, alla tendenza all’astrazione, alla ricerca di un “progresso” tecnico ed estetico inteso come graduale accostamento a un ideale di perfezione e all’invenzione di una dimensione non lineare del tempo musicale, capace di accostarsi all’idea stessa di trascendenza.

Musica e religione

PASTICCI, Susanna
2001-01-01

Abstract

Il saggio propone una riflessione sulla dimensione del “sacro” nella musica del XX secolo. Se per “musica sacra” si intende, in continuità con la tradizione dei secoli precedenti, una produzione destinata al culto e alla funzione liturgica, o comunque una musica volta ad esprimere un’esplicita dichiarazione di fede, ci si troverà di fronte a un corpus di opere abbastanza limitato. Il senso del religioso che alimenta l’universo espressivo dei compositori del XX secolo è in molti casi un sentimento riposto, problematico e sofferto, che appartiene alla sfera privatissima della spiritualità individuale; non per questo, tuttavia, la religiosità di un musicista deve essere liquidata come un mero dato biografico, destinato a non esercitare alcun peso sulle sue scelte artistiche. Più che sul piano dell’espressione di "contenuti" religiosi, infatti, il rapporto con la dimensione del trascendente si stabilisce a un livello puramente formale, attivando una simbologia profondamente radicata nella sostanza poetica della creazione; dando vita, allo stesso tempo, a universo di idee e modelli di comportamento destinati a condizionare in modo determinante l’intera esperienza novecentesca. Si pensi alla vocazione “messianica” di molti compositori, ai problemi legati alla comunicazione di un messaggio artistico di difficile comprensione, alla tendenza all’astrazione, alla ricerca di un “progresso” tecnico ed estetico inteso come graduale accostamento a un ideale di perfezione e all’invenzione di una dimensione non lineare del tempo musicale, capace di accostarsi all’idea stessa di trascendenza.
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