Lo specifico interesse per la museografia demo-etno-antropologica, registrato in Italia a partire dagli anni Settanta del Novecento, si è materializzato in un processo senza precedenti sia in termini di distribuzione territoriale sia in quote di investimenti finanziari, ed ha nel contempo sostenuto la nascita di centinaia di contenitori espositivi intitolati nella maggior parte dei casi alle memorie contadine arcaiche e alle condizioni di vita pre-industriali. Tale fenomeno però può essere spiegato solo in parte con le ragioni racchiuse nel revival folclorico e nella vicinanza sentimentale ad un certo mondo agro-pastorale. Un’altra parte di questo ritorno di interesse si è originata dai tentativi di assegnare un rilievo istituzionale alla particolare rappresentazione museografica delle cosiddette tradizioni popolari e alla conseguente possibilità di ridare vitalità agli antichi patrimoni culturali. Il caso di Arpino costituisce esempio emblematico del processo di costruzione in fieri della comunicazione segnico-culturale. Infatti la identità a cui più diffusamente si fa riferimento in paese è quella relativa a un mondo contadino decontestualizzato e modernamente fruito, rispetto al mondo delle industrie manifatturiere, confluite progressivamente in una dimensione quasi del tutto sconosciuta e quindi poco nota e affatto richiamata. Le dimensioni culturali e i processi di classificazione hanno portato alla formulazione di una ostentata messa in scena, nella quale ciascuno può riconoscersi senza difficoltà o tema di essere smentito nonostante la distanza dalla realtà socio-economica degli ultimi due-tre secoli.

Valenze identitarie e percorsi rappresentativi in Arpino (Frosinone)

DE VITA, Giovanni
2009-01-01

Abstract

Lo specifico interesse per la museografia demo-etno-antropologica, registrato in Italia a partire dagli anni Settanta del Novecento, si è materializzato in un processo senza precedenti sia in termini di distribuzione territoriale sia in quote di investimenti finanziari, ed ha nel contempo sostenuto la nascita di centinaia di contenitori espositivi intitolati nella maggior parte dei casi alle memorie contadine arcaiche e alle condizioni di vita pre-industriali. Tale fenomeno però può essere spiegato solo in parte con le ragioni racchiuse nel revival folclorico e nella vicinanza sentimentale ad un certo mondo agro-pastorale. Un’altra parte di questo ritorno di interesse si è originata dai tentativi di assegnare un rilievo istituzionale alla particolare rappresentazione museografica delle cosiddette tradizioni popolari e alla conseguente possibilità di ridare vitalità agli antichi patrimoni culturali. Il caso di Arpino costituisce esempio emblematico del processo di costruzione in fieri della comunicazione segnico-culturale. Infatti la identità a cui più diffusamente si fa riferimento in paese è quella relativa a un mondo contadino decontestualizzato e modernamente fruito, rispetto al mondo delle industrie manifatturiere, confluite progressivamente in una dimensione quasi del tutto sconosciuta e quindi poco nota e affatto richiamata. Le dimensioni culturali e i processi di classificazione hanno portato alla formulazione di una ostentata messa in scena, nella quale ciascuno può riconoscersi senza difficoltà o tema di essere smentito nonostante la distanza dalla realtà socio-economica degli ultimi due-tre secoli.
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