Paul Ricoeur afferma che se da un lato il diritto penale ha portato una conquista sostituendo la vendetta privata, in realtà con la pena si ha un ulteriore patimento oltre a quello della vittima. Dopo, infatti, la pronuncia della sentenza “inizia un’altra storia per il colpevole condannato, la storia della sanzione, giustificata in quanto sofferenza legalmente inflitta”. Il diritto penale non ha alcun argomento intellegibile per giustificare la pena quale sofferenza aggiunta: la pena che dovrebbe colpire l’uomo razionale, in realtà colpisce l’uomo empirico, l’uomo concreto fatto di carne e sangue. La giustizia rimane in un certo qual modo legata alla vendetta e, nonostante si faccia garante di una presunta razionalità istituzionale, non riesce a sciogliere i nodi dello “scandalo” della pena. Ricoeur non è un filosofo che vuole l’eliminazione della pena, anzi egli stesso parlerà di ‘aporia della razionalità della pena’, ma auspica una giustizia non violenta, una giustizia che non vada a ledere con la pena la dignità del colpevole. Una giustizia che tende a ristabilire un equilibrio perduto tra i tre poli fondamentali: colpevole, vittima e legge. Il colpevole deve subire una pena proporzionale al torto commesso ma molto più deve percorrere un processo riabilitativo che lo porti a diventare di nuovo cittadino all’interno di una comunità. Con la riabilitazione il colpevole riprende il suo posto di cittadino fra i cittadini andando così a ristabilire l’equilibrio sociale e politico e il legame relazionale che il delitto aveva precedentemente spezzato. Ancor di più Paul Ricoeur dice che la sanzione per raggiungere il suo scopo deve essere se non del tutto accettata quanto meno un minimo capita dal colpevole. Egli si deve riconoscere come convenuto in un processo, così come la vittima deve riconoscersi parte lesa. Da qui può partire un processo riabilitativo. L’analisi di Ricoeur sulla pena culmina con il perdono, perdono che non è inteso in termini religiosi, ma in termini di dono. Il perdono è un dono che non chiede reciprocità. Deve provenire dalla vittima e il colpevole, seppur completato il suo percorso riabilitativo, non può pretenderlo, è un gesto spontaneo. Il perdono fa sì che vi sia uno scambio di memorie tra vittima e colpevole, ritorna qui il tema del racconto tanto caro a Paul Ricoeur, perché dice lo stesso se il perdono è inconcepibile allora una “giustizia della memoria” è sicuramente più comprensibile. È una giustizia in qualche modo restaurativa che non dimentica i tre poli dell’azione ( legge, vittima e colpevole) e che si fa carico di un elemento, quello della temporalità, che gli permette di diventare narrazione. Bisogna fare memoria, quindi, raccontare al fine di stabilire un nuovo equilibrio tra le parti. A monte del processo davanti ad una corte di tribunale c’è una situazione di violenza su una vittima da parte di un presunto colpevole, una attività che ha infranto l’armonia e la buona convivenza del corpo sociale. La celebrazione del processo porta come primo effetto il passaggio dalla violenza agita sul piano materiale ad un piano discorsivo delle argomentazioni con cui si affrontano e si misurano tanto le accuse della vittima quanto la difesa dell’accusato. Nel processo si incontrano le dimensioni temporali, vi è l’intreccio tra passato, presente e futuro. Per Capograssi, infatti, la figura del giudice diventa centrale in quanto ha la funzione di “rifare presente il passato in una direzione che guarda al futuro nella prospettiva della sentenza”. È necessario, dice Ricoeur, che l’accusato si sappia riconosciuto per lo meno come un essere ragionevole e responsabile, ossia, autore dei suoi atti. Finché, infatti, la condanna non è riconosciuta come ragionevole da parte del condannato, non potrà giungere a lui come ad un essere razionale.
IL DIRITTO IN RAPPORTO CON IL CONCETTO DI PENA / Schietroma, Letizia. - (2022 Jul 06).
IL DIRITTO IN RAPPORTO CON IL CONCETTO DI PENA
SCHIETROMA, Letizia
2022-07-06
Abstract
Paul Ricoeur afferma che se da un lato il diritto penale ha portato una conquista sostituendo la vendetta privata, in realtà con la pena si ha un ulteriore patimento oltre a quello della vittima. Dopo, infatti, la pronuncia della sentenza “inizia un’altra storia per il colpevole condannato, la storia della sanzione, giustificata in quanto sofferenza legalmente inflitta”. Il diritto penale non ha alcun argomento intellegibile per giustificare la pena quale sofferenza aggiunta: la pena che dovrebbe colpire l’uomo razionale, in realtà colpisce l’uomo empirico, l’uomo concreto fatto di carne e sangue. La giustizia rimane in un certo qual modo legata alla vendetta e, nonostante si faccia garante di una presunta razionalità istituzionale, non riesce a sciogliere i nodi dello “scandalo” della pena. Ricoeur non è un filosofo che vuole l’eliminazione della pena, anzi egli stesso parlerà di ‘aporia della razionalità della pena’, ma auspica una giustizia non violenta, una giustizia che non vada a ledere con la pena la dignità del colpevole. Una giustizia che tende a ristabilire un equilibrio perduto tra i tre poli fondamentali: colpevole, vittima e legge. Il colpevole deve subire una pena proporzionale al torto commesso ma molto più deve percorrere un processo riabilitativo che lo porti a diventare di nuovo cittadino all’interno di una comunità. Con la riabilitazione il colpevole riprende il suo posto di cittadino fra i cittadini andando così a ristabilire l’equilibrio sociale e politico e il legame relazionale che il delitto aveva precedentemente spezzato. Ancor di più Paul Ricoeur dice che la sanzione per raggiungere il suo scopo deve essere se non del tutto accettata quanto meno un minimo capita dal colpevole. Egli si deve riconoscere come convenuto in un processo, così come la vittima deve riconoscersi parte lesa. Da qui può partire un processo riabilitativo. L’analisi di Ricoeur sulla pena culmina con il perdono, perdono che non è inteso in termini religiosi, ma in termini di dono. Il perdono è un dono che non chiede reciprocità. Deve provenire dalla vittima e il colpevole, seppur completato il suo percorso riabilitativo, non può pretenderlo, è un gesto spontaneo. Il perdono fa sì che vi sia uno scambio di memorie tra vittima e colpevole, ritorna qui il tema del racconto tanto caro a Paul Ricoeur, perché dice lo stesso se il perdono è inconcepibile allora una “giustizia della memoria” è sicuramente più comprensibile. È una giustizia in qualche modo restaurativa che non dimentica i tre poli dell’azione ( legge, vittima e colpevole) e che si fa carico di un elemento, quello della temporalità, che gli permette di diventare narrazione. Bisogna fare memoria, quindi, raccontare al fine di stabilire un nuovo equilibrio tra le parti. A monte del processo davanti ad una corte di tribunale c’è una situazione di violenza su una vittima da parte di un presunto colpevole, una attività che ha infranto l’armonia e la buona convivenza del corpo sociale. La celebrazione del processo porta come primo effetto il passaggio dalla violenza agita sul piano materiale ad un piano discorsivo delle argomentazioni con cui si affrontano e si misurano tanto le accuse della vittima quanto la difesa dell’accusato. Nel processo si incontrano le dimensioni temporali, vi è l’intreccio tra passato, presente e futuro. Per Capograssi, infatti, la figura del giudice diventa centrale in quanto ha la funzione di “rifare presente il passato in una direzione che guarda al futuro nella prospettiva della sentenza”. È necessario, dice Ricoeur, che l’accusato si sappia riconosciuto per lo meno come un essere ragionevole e responsabile, ossia, autore dei suoi atti. Finché, infatti, la condanna non è riconosciuta come ragionevole da parte del condannato, non potrà giungere a lui come ad un essere razionale.File | Dimensione | Formato | |
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