Nonostante indici testuali ed interpretazioni di giudici e studiosi univoci sotto il codice di commercio del 1882, vigente il codice civile del 1942 è rimasta incerta la lettura giurisprudenziale dell’art. 2266, comma 2, c.c. in materia di conseguenze del compimento di atti estranei all’oggetto sociale di società di persone – se da trattare o meno attraverso il diritto comune delle obbligazioni (artt. 1398 e 1399 c.c.) –, mentre nelle società di capitali l’evoluzione del nostro ordinamento ha seguito una traiettoria ondivaga: ben tre volte è mutato il quadro normativo di riferimento del codice civile e le oscillazioni sono comprese tra due modelli stranieri di riferimento – quello tedesco, secondo cui l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale non è mai opponibile ai terzi, fermi restando i rimedi personali contro l’organo amministrativo, e quello inglese, secondo cui l’estraneità è invece opponibile ai terzi (ultra vires doctrine). Il dibattito, dal canto suo, ha guardato ora al primo modello e successivamente al secondo. Il legislatore comunitario (v. la Direttiva n. 68/151/CEE) si è mantenuto neutrale rispetto a quei modelli di riferimento; cosicché quando nel 1969 la Direttiva fu trasposta - peraltro difettosamente - la scelta nazionale preferì il modello anglosassone, che nella scienza giuridica in quel periodo godeva di maggior credito (si vedano l’ art. 2384 e l’ art. 2384 bis c.c., nel testo introdotto dal d.p.r. n. 1127/1969 ed ora abrogato). Intervenuta la riforma del diritto delle società di capitali del 2003 (con d.lg. n. 6/2003) è stato abrogato l’art. 2384 bis c.c. Il vigente testo dell’art. 2384 c.c. si occupa ora esclusivamente di delimitare l’ampiezza del potere rappresentativo degli amministratori (comma 1) e l’efficacia delle limitazioni statutarie a tale potere (comma 2). Il saggio – che inquadra tale mutamento ordinamentale nell’ambito di una più ampia transizione del ns. diritto societario da misure di tutela reale (o demolitoria) verso misure di tutela personale (o per equivalente), secondo una prospettiva della maggiore stabilizzazione possibile dei rapporti societari – critica la tesi attualmente dominante, che individua il trattamento degli atti estranei all’oggetto nell’art. 2384, comma 2, c.c. per un plausibile contrasto con l’art. 9, par. 1, Direttiva n. 68/151/CEE, e argomenta per la inopponibilità degli atti medesimi, fermi restando i rimedi di carattere personale nei confronti degli amministratori (responsabilità risarcitoria; revoca per giusta causa; misure dirette a contrastare le gravi irregolarità gestorie [art. 2409 c.c., per la s.p.a.; art. 2476, comma 3, c.c., per la s.r.l.])

Oggetto sociale e poteri di rappresentanza dell'organo amministrativo

SALAMONE, Luigi
2008-01-01

Abstract

Nonostante indici testuali ed interpretazioni di giudici e studiosi univoci sotto il codice di commercio del 1882, vigente il codice civile del 1942 è rimasta incerta la lettura giurisprudenziale dell’art. 2266, comma 2, c.c. in materia di conseguenze del compimento di atti estranei all’oggetto sociale di società di persone – se da trattare o meno attraverso il diritto comune delle obbligazioni (artt. 1398 e 1399 c.c.) –, mentre nelle società di capitali l’evoluzione del nostro ordinamento ha seguito una traiettoria ondivaga: ben tre volte è mutato il quadro normativo di riferimento del codice civile e le oscillazioni sono comprese tra due modelli stranieri di riferimento – quello tedesco, secondo cui l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale non è mai opponibile ai terzi, fermi restando i rimedi personali contro l’organo amministrativo, e quello inglese, secondo cui l’estraneità è invece opponibile ai terzi (ultra vires doctrine). Il dibattito, dal canto suo, ha guardato ora al primo modello e successivamente al secondo. Il legislatore comunitario (v. la Direttiva n. 68/151/CEE) si è mantenuto neutrale rispetto a quei modelli di riferimento; cosicché quando nel 1969 la Direttiva fu trasposta - peraltro difettosamente - la scelta nazionale preferì il modello anglosassone, che nella scienza giuridica in quel periodo godeva di maggior credito (si vedano l’ art. 2384 e l’ art. 2384 bis c.c., nel testo introdotto dal d.p.r. n. 1127/1969 ed ora abrogato). Intervenuta la riforma del diritto delle società di capitali del 2003 (con d.lg. n. 6/2003) è stato abrogato l’art. 2384 bis c.c. Il vigente testo dell’art. 2384 c.c. si occupa ora esclusivamente di delimitare l’ampiezza del potere rappresentativo degli amministratori (comma 1) e l’efficacia delle limitazioni statutarie a tale potere (comma 2). Il saggio – che inquadra tale mutamento ordinamentale nell’ambito di una più ampia transizione del ns. diritto societario da misure di tutela reale (o demolitoria) verso misure di tutela personale (o per equivalente), secondo una prospettiva della maggiore stabilizzazione possibile dei rapporti societari – critica la tesi attualmente dominante, che individua il trattamento degli atti estranei all’oggetto nell’art. 2384, comma 2, c.c. per un plausibile contrasto con l’art. 9, par. 1, Direttiva n. 68/151/CEE, e argomenta per la inopponibilità degli atti medesimi, fermi restando i rimedi di carattere personale nei confronti degli amministratori (responsabilità risarcitoria; revoca per giusta causa; misure dirette a contrastare le gravi irregolarità gestorie [art. 2409 c.c., per la s.p.a.; art. 2476, comma 3, c.c., per la s.r.l.])
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