L’interesse allo studio sui controlli amministrativi, in relazione al rapporto tra buon andamento e performance pubblica, nasce dalla constatazione che la grave crisi finanziaria che ha coinvolto il nostro Paese ha determinato una situazione di emergenza che non può trovare risposta solo nella riduzione della spesa pubblica, ma deve impegnare la politica a gestire con maggiore rigore le risorse finanziarie, garantendo la qualità dei servizi e delle prestazioni. Un efficace meccanismo di controllo, incentrato sull’efficienza dell’azione amministrativa, riflette il bisogno di spingere i pubblici poteri a perseguire obiettivi di concreto sviluppo economico volto ad assicurare non solo alle generazioni presenti ma anche a quelle future un livello di benessere che rispetti la dignità umana e che trovi espresso riconoscimento nei valori fondanti della Costituzione. Il punto di partenza dell’indagine è l’analisi del sistema dei controlli interni introdotto dalla legislazione degli anni novanta, in concomitanza con il processo di integrazione europea che ha imposto alla nostra amministrazione l’obiettivo della “competitività”. Emerge, così, che tale sistema non ha assolto la funzione di migliorare la performance pubblica poiché quel disegno organizzativo aveva impresso alla pubblica amministrazione il carattere imprenditoriale senza fare i conti con la riluttanza dei pubblici poteri a misurarsi con il parametro del risultato e ad essere sottoposti a nuove forme di “responsabilità”. Sono stati enfatizzati il principio della separazione di funzioni, l’autonomia del dirigente e la sua relativa responsabilità ma non si è prestata adeguata attenzione al tema della responsabilità del ceto politico. Non si è compresa, infatti, l’importanza dello strumento della programmazione e della verifica in itinere dello stato di attuazione dei programmi, svilendo e depotenziando gli strumenti di controllo che non hanno sortito gli effetti sperati. Il limite, dunque, di quelle riforme, che hanno puntato tutto sulla ‘‘privatizzazione’’, sembra essere stato quello di aver voluto assegnare alla p.a. una dimensione, quella manageriale, che non si è rivelata adeguata alle specificità dell’agire pubblico. L’idea di considerare l’amministrazione come un’azienda erogatrice di beni e di servizi, dunque, non è stata colta, nel senso indicato da Giannini, come occasione per migliorare l’efficienza del rendimento pubblico, rivelandosi controproducente laddove si è tradotta nell’adozione acritica di misure mutuate dal settore imprenditoriale che, tuttavia, come sottolinea la dottrina più attenta, tradisce un’evidente mancanza di esperienza e di cultura al riguardo. Nell’ambito del controllo interno, come sistema preordinato alla verifica del risultato in funzione del miglioramento della performance pubblica, la valutazione del dirigente è quella che meglio riflette le criticità della dimensione manageriale imposta all’assetto organizzativo pubblico. Proprio analizzando gli aspetti di tale forma di controllo potrebbero emergere, infatti, nuove ipotesi risolutive del problema dell’efficienza amministrativa, in parte solo accennate nei più recenti interventi legislativi che fanno capo alla legge n. 15/2009, e ai decreti attuativi n. 150/2009 e n. 198/2009. In particolare, l’attuale disegno organizzativo ha puntato, da un lato, su una nuova disciplina dei controlli interni, il cui punto di forza è rappresentato dalla predeterminazione dei risultati e degli standard di qualità e, dall’altro, sull’introduzione di meccanismi di verifica esterna sul corretto esercizio della funzione amministrativa (come l’azione per l’efficienza amministrativa, introdotta con il d.lgs. 198/2009). In relazione ai controlli interni, emerge che nonostante la riforma abbia inteso rafforzare lo strumento della valutazione (rendendola un presupposto indispensabile non solo per l’affidamento dell’incarico dirigenziale ma anche per il conseguimento di premi e incentivi) il funzionamento di tale verifica è reso vulnerabile dalla difficile attuazione del principio di separazione. A ciò si aggiunga che dopo il 2009 sono state introdotte disposizioni volte a svincolare il potere di conferimento (e, dunque, di revoca e/o conferma) dell’incarico dirigenziale dal giudizio sulla performance individuale del dirigente spostando, come avvenne con la l. n. 145/2002, il rapporto tra politica e amministrazione al di fuori della logica del risultato e di ogni forma di controllo, in contrasto con il modello costituzionale che pone l’amministrazione a servizio esclusivo della Nazione, vincolandola ad agire in modo imparziale ed efficiente. Inoltre, i recenti interventi di contenimento della spesa pubblica rendono inattuabile quella parte della riforma che mirava ad incentivare la produttività del lavoro pubblico attraverso la valorizzazione del merito, subordinando l’attribuzione dei premi e degli incentivi al conseguimento di un giudizio positivo sulla gestione. Sicché il dirigente che ha operato bene non solo non ha la prospettiva di essere confermato, ma non può nemmeno contare sulla retribuzione di risultato per l’assenza di risorse finanziarie. Per quanto riguarda il controllo esterno, il legislatore ha operato nel senso di favorire un processo di democratizzazione delle decisioni pubbliche aprendo al contributo esterno dei cittadini aspetti vitali del ciclo organizzativo. La partecipazione e la trasparenza, rappresentano i principali strumenti volti a realizzare un controllo diffuso e generalizzato sull’attività organizzativa, sulla gestione delle risorse, sui procedimenti di valutazione, che pone il cittadino al centro di una rinnovata attenzione legislativa. La riforma si muove, infatti, nella prospettiva di offrire ai cittadini/utenti nuove forme di tutela volte a garantire la fruizione di adeguate prestazioni di benessere cui ciascuno di essi aspira, introducendo un rimedio giurisdizionale specifico per contrastare la violazione di determinati obblighi finalizzati al corretto esercizio della funzione. Quindi se, da un lato, la valutazione del dirigente non sembra in grado di favorire meccanismi di autocorrezione poiché destinata a rimanere ostaggio delle dinamiche dei rapporti tra politica e amministrazione, in cui l’esigenza di una dirigenza fiduciaria continua a prevalere su quella di una dirigenza autonoma ed imparziale; dall’altro lato, la rilevanza esterna dei risultati e degli standard di qualità diventano presupposti essenziali per realizzare un controllo esterno dei cittadini, che si rafforza con la possibilità di ottenere una tutela giurisdizionale avverso eventuali disfunzioni che discendo dalla violazione di tali parametri. Il disegno legislativo del 2009, sebbene abbia colto l’importanza di affiancare ai controlli interni strumenti di verifica esterna, sembra però sfuggire all’esigenza di riportare la funzione di controllo a servizio della collettività che richiede, innanzitutto, un maggiore rigore nella gestione della politica di bilancio. E tale interesse non può ritenersi soddisfatto se, oltre alle disfunzioni, esso deve misurarsi con i costi che scaturiscono da eventuali azioni risarcitorie o correttive proposte dal singolo utente. L’attuale contesto storico evidenzia, quindi, la necessità di controllo, ulteriori o diversi da quelli previste dal nostro ordinamento, che operino sia nella fase della programmazione della spesa pubblica che in quella della predeterminazione delle regole di funzionamento dei sistemi di verifica sulla gestione delle risorse. In questo modo sarà possibile attuare una politica responsabile che non esponga la collettività al rischio di default. Il buon andamento, “al tempo della spending review”, tende ad assumere quali nuovi paradigmi quello della trasparenza della spesa pubblica e di accountability, traducendosi nella capacità di garantire con le esigue risorse disponibili adeguati servizi ai cittadini. Queste riflessioni inducono a riconsiderare la funzione dei controlli, alla luce di un assetto istituzionale in cui l’economia s’impone sulla politica e l’interesse a una ‘sana gestione finanziaria’ tende a prevalere sulle pretese dei cittadini a un livello di benessere qualitativamente sostenibile. Si ritiene, infatti, opportuno un sistema di verifica che non si limiti a sollecitare processi di autocorrezione interna alle amministrazioni, ma che incoraggi la politica a far leva sullo sviluppo economico, piuttosto che sul debito pubblico. In questa direzione sembrano orientarsi i recenti interventi legislativi, da cui potrebbe addirittura emergere un ribaltamento dei valori su cui si è fondata la logica del risultato, simbolo della modernità della funzione amministrativa che la Costituzione pone a «servizio» della collettività. Efficacia, efficienza, economicità cedono spazio alla legittimità e proficuità della spesa pubblica secondo le indicazioni che emergono dalla nuova formulazione dell’art. 97 cost. in cui, prima dei principi di buon andamento ed imparzialità, si colloca l’obbligo delle amministrazioni di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, e dell’art. 81 cost. che ammette il ricorso all’indebitamento solo in caso di eventi eccezionali e purché vi sia il consenso della maggioranza assoluta del Parlamento. L’equilibrio di bilancio diventa il simbolo di una nuova governance economica che orienta l’interpretazione dei principi del buon andamento e dell’imparzialità verso la sostenibilità delle decisioni pubbliche, affinché sia preservato il diritto delle future generazioni a realizzare liberamente i propri bisogni, senza essere condizionati dalle scelte compiute in precedenza. Sotto quest’aspetto il vincolo costituzionale dovrebbe essere considerato uno strumento e non un fine, così come l’art. 81 cost. dovrebbe essere interpretato tenendo conto dei valori e delle situazioni soggettive tutelate nella prima parte della Costituzione. Nonostante un assetto normativo tutt’altro che definito, al termine della presente indagine si cercherà, comunque, di individuare le attuali tendenze legislative che sembrano destinate ad incidere profondamente sulla funzione dei controlli, aprendo nuovi scenari anche sul ruolo della Corte dei Conti che sembra andare ben oltre i principi sanciti dalla Corte Costituzionale a partire dalla storica sentenza n. 29/96, approdando, quindi, ad una dimensione diversa che trae fondamento innanzitutto dai recenti canoni costituzionali dell’art. 97cost. e dell’art. 81 cost.
Buon andamento e performance pubblica nella dinamica evolutiva dei controlli
INTERLANDI, Margherita
2012-01-01
Abstract
L’interesse allo studio sui controlli amministrativi, in relazione al rapporto tra buon andamento e performance pubblica, nasce dalla constatazione che la grave crisi finanziaria che ha coinvolto il nostro Paese ha determinato una situazione di emergenza che non può trovare risposta solo nella riduzione della spesa pubblica, ma deve impegnare la politica a gestire con maggiore rigore le risorse finanziarie, garantendo la qualità dei servizi e delle prestazioni. Un efficace meccanismo di controllo, incentrato sull’efficienza dell’azione amministrativa, riflette il bisogno di spingere i pubblici poteri a perseguire obiettivi di concreto sviluppo economico volto ad assicurare non solo alle generazioni presenti ma anche a quelle future un livello di benessere che rispetti la dignità umana e che trovi espresso riconoscimento nei valori fondanti della Costituzione. Il punto di partenza dell’indagine è l’analisi del sistema dei controlli interni introdotto dalla legislazione degli anni novanta, in concomitanza con il processo di integrazione europea che ha imposto alla nostra amministrazione l’obiettivo della “competitività”. Emerge, così, che tale sistema non ha assolto la funzione di migliorare la performance pubblica poiché quel disegno organizzativo aveva impresso alla pubblica amministrazione il carattere imprenditoriale senza fare i conti con la riluttanza dei pubblici poteri a misurarsi con il parametro del risultato e ad essere sottoposti a nuove forme di “responsabilità”. Sono stati enfatizzati il principio della separazione di funzioni, l’autonomia del dirigente e la sua relativa responsabilità ma non si è prestata adeguata attenzione al tema della responsabilità del ceto politico. Non si è compresa, infatti, l’importanza dello strumento della programmazione e della verifica in itinere dello stato di attuazione dei programmi, svilendo e depotenziando gli strumenti di controllo che non hanno sortito gli effetti sperati. Il limite, dunque, di quelle riforme, che hanno puntato tutto sulla ‘‘privatizzazione’’, sembra essere stato quello di aver voluto assegnare alla p.a. una dimensione, quella manageriale, che non si è rivelata adeguata alle specificità dell’agire pubblico. L’idea di considerare l’amministrazione come un’azienda erogatrice di beni e di servizi, dunque, non è stata colta, nel senso indicato da Giannini, come occasione per migliorare l’efficienza del rendimento pubblico, rivelandosi controproducente laddove si è tradotta nell’adozione acritica di misure mutuate dal settore imprenditoriale che, tuttavia, come sottolinea la dottrina più attenta, tradisce un’evidente mancanza di esperienza e di cultura al riguardo. Nell’ambito del controllo interno, come sistema preordinato alla verifica del risultato in funzione del miglioramento della performance pubblica, la valutazione del dirigente è quella che meglio riflette le criticità della dimensione manageriale imposta all’assetto organizzativo pubblico. Proprio analizzando gli aspetti di tale forma di controllo potrebbero emergere, infatti, nuove ipotesi risolutive del problema dell’efficienza amministrativa, in parte solo accennate nei più recenti interventi legislativi che fanno capo alla legge n. 15/2009, e ai decreti attuativi n. 150/2009 e n. 198/2009. In particolare, l’attuale disegno organizzativo ha puntato, da un lato, su una nuova disciplina dei controlli interni, il cui punto di forza è rappresentato dalla predeterminazione dei risultati e degli standard di qualità e, dall’altro, sull’introduzione di meccanismi di verifica esterna sul corretto esercizio della funzione amministrativa (come l’azione per l’efficienza amministrativa, introdotta con il d.lgs. 198/2009). In relazione ai controlli interni, emerge che nonostante la riforma abbia inteso rafforzare lo strumento della valutazione (rendendola un presupposto indispensabile non solo per l’affidamento dell’incarico dirigenziale ma anche per il conseguimento di premi e incentivi) il funzionamento di tale verifica è reso vulnerabile dalla difficile attuazione del principio di separazione. A ciò si aggiunga che dopo il 2009 sono state introdotte disposizioni volte a svincolare il potere di conferimento (e, dunque, di revoca e/o conferma) dell’incarico dirigenziale dal giudizio sulla performance individuale del dirigente spostando, come avvenne con la l. n. 145/2002, il rapporto tra politica e amministrazione al di fuori della logica del risultato e di ogni forma di controllo, in contrasto con il modello costituzionale che pone l’amministrazione a servizio esclusivo della Nazione, vincolandola ad agire in modo imparziale ed efficiente. Inoltre, i recenti interventi di contenimento della spesa pubblica rendono inattuabile quella parte della riforma che mirava ad incentivare la produttività del lavoro pubblico attraverso la valorizzazione del merito, subordinando l’attribuzione dei premi e degli incentivi al conseguimento di un giudizio positivo sulla gestione. Sicché il dirigente che ha operato bene non solo non ha la prospettiva di essere confermato, ma non può nemmeno contare sulla retribuzione di risultato per l’assenza di risorse finanziarie. Per quanto riguarda il controllo esterno, il legislatore ha operato nel senso di favorire un processo di democratizzazione delle decisioni pubbliche aprendo al contributo esterno dei cittadini aspetti vitali del ciclo organizzativo. La partecipazione e la trasparenza, rappresentano i principali strumenti volti a realizzare un controllo diffuso e generalizzato sull’attività organizzativa, sulla gestione delle risorse, sui procedimenti di valutazione, che pone il cittadino al centro di una rinnovata attenzione legislativa. La riforma si muove, infatti, nella prospettiva di offrire ai cittadini/utenti nuove forme di tutela volte a garantire la fruizione di adeguate prestazioni di benessere cui ciascuno di essi aspira, introducendo un rimedio giurisdizionale specifico per contrastare la violazione di determinati obblighi finalizzati al corretto esercizio della funzione. Quindi se, da un lato, la valutazione del dirigente non sembra in grado di favorire meccanismi di autocorrezione poiché destinata a rimanere ostaggio delle dinamiche dei rapporti tra politica e amministrazione, in cui l’esigenza di una dirigenza fiduciaria continua a prevalere su quella di una dirigenza autonoma ed imparziale; dall’altro lato, la rilevanza esterna dei risultati e degli standard di qualità diventano presupposti essenziali per realizzare un controllo esterno dei cittadini, che si rafforza con la possibilità di ottenere una tutela giurisdizionale avverso eventuali disfunzioni che discendo dalla violazione di tali parametri. Il disegno legislativo del 2009, sebbene abbia colto l’importanza di affiancare ai controlli interni strumenti di verifica esterna, sembra però sfuggire all’esigenza di riportare la funzione di controllo a servizio della collettività che richiede, innanzitutto, un maggiore rigore nella gestione della politica di bilancio. E tale interesse non può ritenersi soddisfatto se, oltre alle disfunzioni, esso deve misurarsi con i costi che scaturiscono da eventuali azioni risarcitorie o correttive proposte dal singolo utente. L’attuale contesto storico evidenzia, quindi, la necessità di controllo, ulteriori o diversi da quelli previste dal nostro ordinamento, che operino sia nella fase della programmazione della spesa pubblica che in quella della predeterminazione delle regole di funzionamento dei sistemi di verifica sulla gestione delle risorse. In questo modo sarà possibile attuare una politica responsabile che non esponga la collettività al rischio di default. Il buon andamento, “al tempo della spending review”, tende ad assumere quali nuovi paradigmi quello della trasparenza della spesa pubblica e di accountability, traducendosi nella capacità di garantire con le esigue risorse disponibili adeguati servizi ai cittadini. Queste riflessioni inducono a riconsiderare la funzione dei controlli, alla luce di un assetto istituzionale in cui l’economia s’impone sulla politica e l’interesse a una ‘sana gestione finanziaria’ tende a prevalere sulle pretese dei cittadini a un livello di benessere qualitativamente sostenibile. Si ritiene, infatti, opportuno un sistema di verifica che non si limiti a sollecitare processi di autocorrezione interna alle amministrazioni, ma che incoraggi la politica a far leva sullo sviluppo economico, piuttosto che sul debito pubblico. In questa direzione sembrano orientarsi i recenti interventi legislativi, da cui potrebbe addirittura emergere un ribaltamento dei valori su cui si è fondata la logica del risultato, simbolo della modernità della funzione amministrativa che la Costituzione pone a «servizio» della collettività. Efficacia, efficienza, economicità cedono spazio alla legittimità e proficuità della spesa pubblica secondo le indicazioni che emergono dalla nuova formulazione dell’art. 97 cost. in cui, prima dei principi di buon andamento ed imparzialità, si colloca l’obbligo delle amministrazioni di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, e dell’art. 81 cost. che ammette il ricorso all’indebitamento solo in caso di eventi eccezionali e purché vi sia il consenso della maggioranza assoluta del Parlamento. L’equilibrio di bilancio diventa il simbolo di una nuova governance economica che orienta l’interpretazione dei principi del buon andamento e dell’imparzialità verso la sostenibilità delle decisioni pubbliche, affinché sia preservato il diritto delle future generazioni a realizzare liberamente i propri bisogni, senza essere condizionati dalle scelte compiute in precedenza. Sotto quest’aspetto il vincolo costituzionale dovrebbe essere considerato uno strumento e non un fine, così come l’art. 81 cost. dovrebbe essere interpretato tenendo conto dei valori e delle situazioni soggettive tutelate nella prima parte della Costituzione. Nonostante un assetto normativo tutt’altro che definito, al termine della presente indagine si cercherà, comunque, di individuare le attuali tendenze legislative che sembrano destinate ad incidere profondamente sulla funzione dei controlli, aprendo nuovi scenari anche sul ruolo della Corte dei Conti che sembra andare ben oltre i principi sanciti dalla Corte Costituzionale a partire dalla storica sentenza n. 29/96, approdando, quindi, ad una dimensione diversa che trae fondamento innanzitutto dai recenti canoni costituzionali dell’art. 97cost. e dell’art. 81 cost.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.