L’autore, in risposta al primo “quesito” richiesto, indaga sulla ripartizione degli oneri probatori in caso di diritto al risarcimento del danno in caso, prima, di licenziamento nell’area dell’art. 18 St., dove è la norma speciale a riconoscere in capo al lavoratore il diritto al risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute (art. 18, quarto comma, l. n. 300 del 1970) e poi, in relazione ad altre ipotesi (ad es. in caso di inadempimento di un obbligo di assunzione o dopo la scadenza del termine illegittimo o dopo le dimissioni invalide, ma si può anche pensare alle conseguenze del licenziamento illegittimo ante tempus nel contratto a termine), dove, invece, il diritto al risarcimento del danno non discende da una norma speciale, ma dai principi generali, in base ai quali la parte che ritenga di aver subito un danno è onerata a fornire la relativa prova in giudizio. In risposta al secondo quesito, l’autore critica poi decisamente quell’orientamento giurisprudenziale per cui la richiesta al giudice di ordinare alla controparte l’esibizione della documentazione fiscale del lavoratore e di informazioni presso la pubblica amministrazione previdenziale, tributaria e del lavoro può essere ritenuta inammissibile in quanto esplorativa, perché non volta all’accertamento dell’esistenza o meno di un fatto determinato e allegato. Infine, in risposta al terzo quesito, l’autore, ai fini del rilievo del cd. aliunde percipiendum, vaglia la possibile di utilizzare alcuni criteri come il riferimento alla condizione del mercato del lavoro. Inoltre l’autore indaga la latitudine dell’aliunde percipiendum, nella prospettiva di verificare se il dovere del lavoratore di ridurre l’entità del danno subito usando l’ordinaria diligenza sia riferibile anche ad attività lavorative con professionalità diverse da quella posseduta dal lavoratore nel rapporto di lavoro risolto, valorizzando il carattere “volontario” della scelta del lavoro da parte del lavoratore.

Aliunde e lavoro nero o rifiutato

PASSALACQUA, Pasquale
2011-01-01

Abstract

L’autore, in risposta al primo “quesito” richiesto, indaga sulla ripartizione degli oneri probatori in caso di diritto al risarcimento del danno in caso, prima, di licenziamento nell’area dell’art. 18 St., dove è la norma speciale a riconoscere in capo al lavoratore il diritto al risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute (art. 18, quarto comma, l. n. 300 del 1970) e poi, in relazione ad altre ipotesi (ad es. in caso di inadempimento di un obbligo di assunzione o dopo la scadenza del termine illegittimo o dopo le dimissioni invalide, ma si può anche pensare alle conseguenze del licenziamento illegittimo ante tempus nel contratto a termine), dove, invece, il diritto al risarcimento del danno non discende da una norma speciale, ma dai principi generali, in base ai quali la parte che ritenga di aver subito un danno è onerata a fornire la relativa prova in giudizio. In risposta al secondo quesito, l’autore critica poi decisamente quell’orientamento giurisprudenziale per cui la richiesta al giudice di ordinare alla controparte l’esibizione della documentazione fiscale del lavoratore e di informazioni presso la pubblica amministrazione previdenziale, tributaria e del lavoro può essere ritenuta inammissibile in quanto esplorativa, perché non volta all’accertamento dell’esistenza o meno di un fatto determinato e allegato. Infine, in risposta al terzo quesito, l’autore, ai fini del rilievo del cd. aliunde percipiendum, vaglia la possibile di utilizzare alcuni criteri come il riferimento alla condizione del mercato del lavoro. Inoltre l’autore indaga la latitudine dell’aliunde percipiendum, nella prospettiva di verificare se il dovere del lavoratore di ridurre l’entità del danno subito usando l’ordinaria diligenza sia riferibile anche ad attività lavorative con professionalità diverse da quella posseduta dal lavoratore nel rapporto di lavoro risolto, valorizzando il carattere “volontario” della scelta del lavoro da parte del lavoratore.
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