Il presente contributo, esaminando la decisione n. 65 del 2023 della Corte costituzionale, vuole rappresentare un’occasione di riflessione lungo il percorso di progressiva presa di coscienza e valorizzazione delle peculiarità della persona disabile nel processo penale. In particolare, al disabile-imputato va incondizionatamente riconosciuto il diritto alla “parità delle armi” nel processo, che si esplica anche nel suo diritto di autodifesa; capacità che ben può essere impedita dall’insorgenza di una patologia, non solo di natura mentale ma anche fisica. Su questa scia, nella decisione in commento, i giudici costituzionali – riallacciandosi ad alcuni illuminati precedenti, non sempre opportunamente valorizzati – hanno sancito l’illegittimità dell'art. 72 bis, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell'art. 3 della Costituzione, laddove, stabilendo l'improcedibilità nei confronti dell'imputato che non possa partecipare coscientemente al processo per incapacità irreversibile, si riferisce unicamente allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico». In via consequenziale, la Consulta ha dichiarato incostituzionali gli articoli 70, comma 1, 71, comma 1 e 72, comma 1 e 2 del codice di rito, nella parte in cui si richiama la sola infermità o stato «mentale», anziché quella «psicofisico». La pronuncia della Consulta rappresenta un passaggio importante nella partecipazione del disabile al procedimento in cui è imputato. Rifugge da forme ingessate e rigidamente biunivoche, per le quali viene in rilievo la sola disabilità mentale, quale incapacità, in astratto, di partecipazione consapevole. Al termine di un percorso lungamente meditato, la Consulta “apre” a patologie che, pur non avendo un’origine propriamente psichica, hanno un decorso tale da privare, spesso progressivamente e irrimediabilmente, la capacità di effettiva percezione della realtà e di interazione con la stessa. Vengono adeguatamente valorizzati il concetto di autodifesa e di «cosciente partecipazione» di cui all’art. 70 c.p.p.; «endiadi» che va intesa, piuttosto, come l’insieme delle facoltà di «coscienza, pensiero, percezione, espressione». Si assiste, così, ad una nuova tappa nel cammino verso quella visione della disabilità di matrice internazionale, sancita dalla Convenzione ONU del 2006 e ribadita, sul fronte interno, con la cd. Legge quadro sulla disabilità (l. 227/2021). All’imputato disabile, dotato di una “capacità giuridica universale”, che prescinde da rigide categorie classificatorie, viene garantita la partecipazione “attiva” al “suo” processo, in forma piena ed effettiva, fondata su una base di uguaglianza con gli altri soggetti del procedimento, anche in termini di apporto al processo stesso.

Disabilità fisica e consapevole partecipazione dell’imputato al processo

Grieco, Sarah
2024-01-01

Abstract

Il presente contributo, esaminando la decisione n. 65 del 2023 della Corte costituzionale, vuole rappresentare un’occasione di riflessione lungo il percorso di progressiva presa di coscienza e valorizzazione delle peculiarità della persona disabile nel processo penale. In particolare, al disabile-imputato va incondizionatamente riconosciuto il diritto alla “parità delle armi” nel processo, che si esplica anche nel suo diritto di autodifesa; capacità che ben può essere impedita dall’insorgenza di una patologia, non solo di natura mentale ma anche fisica. Su questa scia, nella decisione in commento, i giudici costituzionali – riallacciandosi ad alcuni illuminati precedenti, non sempre opportunamente valorizzati – hanno sancito l’illegittimità dell'art. 72 bis, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell'art. 3 della Costituzione, laddove, stabilendo l'improcedibilità nei confronti dell'imputato che non possa partecipare coscientemente al processo per incapacità irreversibile, si riferisce unicamente allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico». In via consequenziale, la Consulta ha dichiarato incostituzionali gli articoli 70, comma 1, 71, comma 1 e 72, comma 1 e 2 del codice di rito, nella parte in cui si richiama la sola infermità o stato «mentale», anziché quella «psicofisico». La pronuncia della Consulta rappresenta un passaggio importante nella partecipazione del disabile al procedimento in cui è imputato. Rifugge da forme ingessate e rigidamente biunivoche, per le quali viene in rilievo la sola disabilità mentale, quale incapacità, in astratto, di partecipazione consapevole. Al termine di un percorso lungamente meditato, la Consulta “apre” a patologie che, pur non avendo un’origine propriamente psichica, hanno un decorso tale da privare, spesso progressivamente e irrimediabilmente, la capacità di effettiva percezione della realtà e di interazione con la stessa. Vengono adeguatamente valorizzati il concetto di autodifesa e di «cosciente partecipazione» di cui all’art. 70 c.p.p.; «endiadi» che va intesa, piuttosto, come l’insieme delle facoltà di «coscienza, pensiero, percezione, espressione». Si assiste, così, ad una nuova tappa nel cammino verso quella visione della disabilità di matrice internazionale, sancita dalla Convenzione ONU del 2006 e ribadita, sul fronte interno, con la cd. Legge quadro sulla disabilità (l. 227/2021). All’imputato disabile, dotato di una “capacità giuridica universale”, che prescinde da rigide categorie classificatorie, viene garantita la partecipazione “attiva” al “suo” processo, in forma piena ed effettiva, fondata su una base di uguaglianza con gli altri soggetti del procedimento, anche in termini di apporto al processo stesso.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11580/110457
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
social impact