Con la sentenza n. 243 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 451 e 558 c.p.p., in quanto interpretati, dalla giurisprudenza prevalente, nel senso che la richiesta del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato l’accesso al giudizio abbreviato o all’applicazione della pena concordata. La pronuncia si è resa necessaria per superare un “ostinato” indirizzo giurisprudenziale, assurto al rango di “diritto vivente”, che si contrapponeva all’interpretazione suggerita dalla stessa Corte costituzionale con la precedente ordinanza n. 254 del 1993. La risolutiva declaratoria di incostituzionalità appartiene al genus delle pronunce interpretative di accoglimento, con le quali la Corte non dichiara l’illegittimità di una disposizione normativa, ma stigmatizza piuttosto, con effetti erga omnes, una sua esegesi ritenuta contraria ai principi costituzionali. La forza cogente della decisione e la sua capacità di incidere sulle situazioni processuali non ancora “esaurite” hanno stimolato la riflessione sugli effetti che da tale pronuncia possono derivare sia in ordine all’eventuale inadempimento degli obblighi informativi nei confronti dell’imputato sottoposto al giudizio direttissimo, sia nelle ipotesi di violazione del diritto di accesso ad un rito premiale dopo la concessione del termine a difesa.
La funzione del termine a difesa nel giudizio direttissimo: gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 2022
Giuseppe Della Monica
2024-01-01
Abstract
Con la sentenza n. 243 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 451 e 558 c.p.p., in quanto interpretati, dalla giurisprudenza prevalente, nel senso che la richiesta del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato l’accesso al giudizio abbreviato o all’applicazione della pena concordata. La pronuncia si è resa necessaria per superare un “ostinato” indirizzo giurisprudenziale, assurto al rango di “diritto vivente”, che si contrapponeva all’interpretazione suggerita dalla stessa Corte costituzionale con la precedente ordinanza n. 254 del 1993. La risolutiva declaratoria di incostituzionalità appartiene al genus delle pronunce interpretative di accoglimento, con le quali la Corte non dichiara l’illegittimità di una disposizione normativa, ma stigmatizza piuttosto, con effetti erga omnes, una sua esegesi ritenuta contraria ai principi costituzionali. La forza cogente della decisione e la sua capacità di incidere sulle situazioni processuali non ancora “esaurite” hanno stimolato la riflessione sugli effetti che da tale pronuncia possono derivare sia in ordine all’eventuale inadempimento degli obblighi informativi nei confronti dell’imputato sottoposto al giudizio direttissimo, sia nelle ipotesi di violazione del diritto di accesso ad un rito premiale dopo la concessione del termine a difesa.File | Dimensione | Formato | |
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