Una recente pronuncia di merito ha offerto lo spunto per una riflessione sulle nuove condizioni di ammissibilità delle impugnazioni previste dai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Fino alla riforma attuata con la legge “Cartabia”, la selezione dei controlli immeritevoli di un approfondimento nel merito avveniva sulla base di regole volte a stigmatizzare le impugnazioni illegittime, tardive, pretestuose o inutili. A tali categorie il legislatore ne ha aggiunta un’altra, quella, cioè, delle impugnazioni “non collaborative”, che vanno dichiarate inammissibili perché la difesa dell’imputato non ha adempiuto gli obblighi imposti per agevolare e accelerare lo svolgimento del giudizio sollecitato con la proposizione del mezzo di gravame. Il fine perseguito con le nuove condizioni di ammissibilità – vale a dire la semplificazione dell’attività giurisdizionale e, nel contempo, la garanzia di una corretta gestione del processo in absentia – è indiscutibilmente legittimo, sicché non può ipotizzarsi, sotto questo profilo, una indebita compressione del right of access to a court. Qualche dubbio si profila, invece, in relazione all’ulteriore parametro di legalità convenzionale indicato dalla Corte europea, ovvero il canone di « proporzionalità », poiché il legislatore sembra essersi spinto oltre il perimetro della patologia – stricto sensu – dell’atto di impugnazione, collegando l’inammissibilità anche a vizi formali che non sempre appaiono meritevoli di una sanzione tanto severa come la negazione del diritto di accesso al successivo grado di giudizio.

Le condizioni di ammissibilità delle impugnazioni introdotte dalla riforma “Cartabia”

Giuseppe Della Monica
2024-01-01

Abstract

Una recente pronuncia di merito ha offerto lo spunto per una riflessione sulle nuove condizioni di ammissibilità delle impugnazioni previste dai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Fino alla riforma attuata con la legge “Cartabia”, la selezione dei controlli immeritevoli di un approfondimento nel merito avveniva sulla base di regole volte a stigmatizzare le impugnazioni illegittime, tardive, pretestuose o inutili. A tali categorie il legislatore ne ha aggiunta un’altra, quella, cioè, delle impugnazioni “non collaborative”, che vanno dichiarate inammissibili perché la difesa dell’imputato non ha adempiuto gli obblighi imposti per agevolare e accelerare lo svolgimento del giudizio sollecitato con la proposizione del mezzo di gravame. Il fine perseguito con le nuove condizioni di ammissibilità – vale a dire la semplificazione dell’attività giurisdizionale e, nel contempo, la garanzia di una corretta gestione del processo in absentia – è indiscutibilmente legittimo, sicché non può ipotizzarsi, sotto questo profilo, una indebita compressione del right of access to a court. Qualche dubbio si profila, invece, in relazione all’ulteriore parametro di legalità convenzionale indicato dalla Corte europea, ovvero il canone di « proporzionalità », poiché il legislatore sembra essersi spinto oltre il perimetro della patologia – stricto sensu – dell’atto di impugnazione, collegando l’inammissibilità anche a vizi formali che non sempre appaiono meritevoli di una sanzione tanto severa come la negazione del diritto di accesso al successivo grado di giudizio.
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