Ogni democrazia, antica o moderna, subisce la tensione fra due diversi principi. Il primo è quello egalitario: è giusto che tutti i membri della comunità abbiano eguale diritto di contribuire alle decisioni comuni. Il secondo principio è quello secondo cui i regimi sono giusti solo se assicurano il bene comune (un’idea valida anche per un democratico): dal che deriva che è giusto che decidano per tutti solo i più capaci, necessariamente pochi. Scopo di questo saggio è ricostruire le argomentazioni con cui, nel mondo greco del V secolo a.C., i sostenitori della democrazia rivendicarono la validità della democrazia come forma di governo non solo ‘giusta’, ma soprattutto ‘capace di ben governare’: contro quella tradizione antidemocratica secondo cui il buon governo non poteva essere realizzato da un regime in cui il voto di un falegname, di un ciabattino, di un rozzo contadino, pesasse quanto quello di un membro delle élites. Quasi sempre i testi a nostra disposizione ci offrono solo rapidi accenni, minimi frammenti argomentativi: ma questi frammenti, messi l’uno accanto all’altro, rivelano una intima e inaspettata coerenza reciproca. Emergono così cinque ‘tesi democratiche’, fra loro interconnesse: il che conferma l’esistenza, nel mondo greco, di una ‘teoria democratica della democrazia’ volta a mostrare come il governo dei molti sia più efficace che il governo dei pochi ‘migliori’ (o sedicenti tali). Nello stesso tempo, si manifestano sorprendenti e illuminanti consonanze con il pensiero politico moderno e contemporaneo: perché, anche a distanza di millenni, problemi teorici simili conducono ad argomentazioni necessariamente simili.

Democrazia e buon governo. Cinque tesi democratiche nella Grecia del V secolo a.C.

Gianfranco Mosconi
2021-01-01

Abstract

Ogni democrazia, antica o moderna, subisce la tensione fra due diversi principi. Il primo è quello egalitario: è giusto che tutti i membri della comunità abbiano eguale diritto di contribuire alle decisioni comuni. Il secondo principio è quello secondo cui i regimi sono giusti solo se assicurano il bene comune (un’idea valida anche per un democratico): dal che deriva che è giusto che decidano per tutti solo i più capaci, necessariamente pochi. Scopo di questo saggio è ricostruire le argomentazioni con cui, nel mondo greco del V secolo a.C., i sostenitori della democrazia rivendicarono la validità della democrazia come forma di governo non solo ‘giusta’, ma soprattutto ‘capace di ben governare’: contro quella tradizione antidemocratica secondo cui il buon governo non poteva essere realizzato da un regime in cui il voto di un falegname, di un ciabattino, di un rozzo contadino, pesasse quanto quello di un membro delle élites. Quasi sempre i testi a nostra disposizione ci offrono solo rapidi accenni, minimi frammenti argomentativi: ma questi frammenti, messi l’uno accanto all’altro, rivelano una intima e inaspettata coerenza reciproca. Emergono così cinque ‘tesi democratiche’, fra loro interconnesse: il che conferma l’esistenza, nel mondo greco, di una ‘teoria democratica della democrazia’ volta a mostrare come il governo dei molti sia più efficace che il governo dei pochi ‘migliori’ (o sedicenti tali). Nello stesso tempo, si manifestano sorprendenti e illuminanti consonanze con il pensiero politico moderno e contemporaneo: perché, anche a distanza di millenni, problemi teorici simili conducono ad argomentazioni necessariamente simili.
2021
978-88-7916-985-1
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