Nel processo di riforma politico-istituzionale in atto ci sono due problemi di fondo, che creano, a cascata, una serie di problematiche e di criticità che sfociano talvolta in veri e propri vizi di legittimità costituzionale, mentre danno luogo in qualche altro caso a delle prescrizioni quanto meno inopportune e controindicate rispetto all’esigenza di un rendimento qualitativamente apprezzabile del nostro sistema politico-istituzionale. Il primo problema di fondo consiste nel rovesciamento dei modelli di produzione normativa. Quello della riforma elettorale non è l'unico caso. Infatti, da questo punto di vista, anche la vicenda delle province può essere considerata paradigmatica. In entrambi i casi - anziché partire con la riforma della Costituzione per poi provvedere alla legislazione di attuazione e infine predisporre, eventualmente, un'ulteriore normativa volta a completare il quadro normativo della materia in questione - si è partiti dalla legislazione ordinaria, ovvero dalla cosa più semplice da approvare per una maggioranza parlamentare, facendo prevalere un'esigenza di comunicazione politica rispetto alla necessità di garantire un'adeguata qualità della normazione. L'altro problema di fondo che concorre a rendere più complesso il discorso sulle riforme elettorali, consiste nel fatto che da anni in Italia ci si illude di modificare e conformare il sistema partitico attraverso la legislazione elettorale. Si immagina cioè che una disciplina legislativa delle elezioni possa determinare l'assetto del sistema partitico. Ciò, ad esempio è quanto accadde con le leggi nn. 276 e 277 dell'agosto del 1993, con le quali si immaginava di realizzare in Italia un sistema bipartitico o quanto meno bipolare. Tuttavia, paradossalmente, nelle legislature successive, si è registrato il più alto numero di gruppi parlamentari e soprattutto di componenti del gruppo misto di ciascuna camera parlamentare. Il pluralismo partitico e, consequenzialmente, quello delle assemblee rappresentative sono lo specchio del pluralismo del corpo sociale, culturale, ideologico e politico di un Paese. È, quindi, illusorio, oltre che sbagliato, immaginare che, attraverso una disciplina elettorale, tale pluralismo possa essere cancellato o anche fortemente ridotto. Piuttosto, bisognerebbe cercare di introdurre norme, sia di livello costituzionale sia di livello legislativo, che razionalizzino e stabilizzino la forma di governo parlamentare, cercando, in qualche modo, di valorizzare questo pluralismo, ossia di coniugare, come dice la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, la rappresentatività con la governabilità.

Partiti e movimenti politici nel momento elettorale sotto la vigenza dell’Italicum

PASTORE, Fulvio
2015-01-01

Abstract

Nel processo di riforma politico-istituzionale in atto ci sono due problemi di fondo, che creano, a cascata, una serie di problematiche e di criticità che sfociano talvolta in veri e propri vizi di legittimità costituzionale, mentre danno luogo in qualche altro caso a delle prescrizioni quanto meno inopportune e controindicate rispetto all’esigenza di un rendimento qualitativamente apprezzabile del nostro sistema politico-istituzionale. Il primo problema di fondo consiste nel rovesciamento dei modelli di produzione normativa. Quello della riforma elettorale non è l'unico caso. Infatti, da questo punto di vista, anche la vicenda delle province può essere considerata paradigmatica. In entrambi i casi - anziché partire con la riforma della Costituzione per poi provvedere alla legislazione di attuazione e infine predisporre, eventualmente, un'ulteriore normativa volta a completare il quadro normativo della materia in questione - si è partiti dalla legislazione ordinaria, ovvero dalla cosa più semplice da approvare per una maggioranza parlamentare, facendo prevalere un'esigenza di comunicazione politica rispetto alla necessità di garantire un'adeguata qualità della normazione. L'altro problema di fondo che concorre a rendere più complesso il discorso sulle riforme elettorali, consiste nel fatto che da anni in Italia ci si illude di modificare e conformare il sistema partitico attraverso la legislazione elettorale. Si immagina cioè che una disciplina legislativa delle elezioni possa determinare l'assetto del sistema partitico. Ciò, ad esempio è quanto accadde con le leggi nn. 276 e 277 dell'agosto del 1993, con le quali si immaginava di realizzare in Italia un sistema bipartitico o quanto meno bipolare. Tuttavia, paradossalmente, nelle legislature successive, si è registrato il più alto numero di gruppi parlamentari e soprattutto di componenti del gruppo misto di ciascuna camera parlamentare. Il pluralismo partitico e, consequenzialmente, quello delle assemblee rappresentative sono lo specchio del pluralismo del corpo sociale, culturale, ideologico e politico di un Paese. È, quindi, illusorio, oltre che sbagliato, immaginare che, attraverso una disciplina elettorale, tale pluralismo possa essere cancellato o anche fortemente ridotto. Piuttosto, bisognerebbe cercare di introdurre norme, sia di livello costituzionale sia di livello legislativo, che razionalizzino e stabilizzino la forma di governo parlamentare, cercando, in qualche modo, di valorizzare questo pluralismo, ossia di coniugare, come dice la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, la rappresentatività con la governabilità.
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