Al centro della novella di Verga L’ultima giornata (1883) c’è un vuoto: un cadavere senza nome. L’uomo ucciso dal treno sui binari è l’oggetto evidente del racconto: la fisicità orribile del morire e insieme la sua esemplarità. L’ndagine sul cadavere parla della vita, osservandola da una prospettiva altra, “infera”. Dice quello che i vivi non vedono ma che li riguarda; lo dice da una distanza necessaria, sufficiente perché sia degno di fede. Il suo morire, infatti, lo appressa all’omniscieza ironica, “disumana” in senso orteghiano, dell’autore. Ed è questa, innanzitutto, la sua ragione d’essere nello spazio del racconto; il motivo della sua presenza critica, lì, di cadavere tra i vivi: il suo consistere di spoglia diviene il segno stesso, l’immagine del vuoto, poiché il morire che egli incarna dal suo corpo disfatto si propaga all’intero tessuto del mondo circostante (in quanto spazio narrato), e lo informa, lo denota. La sua visibile assenza mette in crisi le certezze, e la presenza stessa dei vivi, malinconici contemplatori, protagonisti della novella: il volto del cadavere come lo sguardo di Medusa. Ed è così possibile interpretare le azioni dell’intreccio quali tappe di una progressiva acquisizione del senso della morte come verità della vita: la morte rivelatrice della sconfitta dei personaggi, della distruzione già inscritta nei loro destini.

L’ironia disumana di Verga nell “Ultima giornata”

CEDOLA, Andrea
2005-01-01

Abstract

Al centro della novella di Verga L’ultima giornata (1883) c’è un vuoto: un cadavere senza nome. L’uomo ucciso dal treno sui binari è l’oggetto evidente del racconto: la fisicità orribile del morire e insieme la sua esemplarità. L’ndagine sul cadavere parla della vita, osservandola da una prospettiva altra, “infera”. Dice quello che i vivi non vedono ma che li riguarda; lo dice da una distanza necessaria, sufficiente perché sia degno di fede. Il suo morire, infatti, lo appressa all’omniscieza ironica, “disumana” in senso orteghiano, dell’autore. Ed è questa, innanzitutto, la sua ragione d’essere nello spazio del racconto; il motivo della sua presenza critica, lì, di cadavere tra i vivi: il suo consistere di spoglia diviene il segno stesso, l’immagine del vuoto, poiché il morire che egli incarna dal suo corpo disfatto si propaga all’intero tessuto del mondo circostante (in quanto spazio narrato), e lo informa, lo denota. La sua visibile assenza mette in crisi le certezze, e la presenza stessa dei vivi, malinconici contemplatori, protagonisti della novella: il volto del cadavere come lo sguardo di Medusa. Ed è così possibile interpretare le azioni dell’intreccio quali tappe di una progressiva acquisizione del senso della morte come verità della vita: la morte rivelatrice della sconfitta dei personaggi, della distruzione già inscritta nei loro destini.
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