Il concetto di melodia occupa un posto di assoluto rilievo nel dibattito critico ed estetico dei secoli XVIII e XIX. La riflessione sullo status della melodia dà vita a discussioni dai toni accesi e appassionati, che investono tematiche complesse e di ampio respiro: i rapporti tra musica e linguaggio; il dualismo armonia-melodia; la funzione retorica delle figure melodiche e, più in generale, il valore estetico della musica. La centralità del concetto di melodia non si risolve tuttavia in un’adeguato sforzo di formalizzazione nell’ambito della teoria e della didattica della composizione, dove la trattazione della melodia occupa generalmente uno spazio molto esiguo. L’idea che la creazione melodica non sia un fenomeno riconducibile alla sfera della speculazione razionale è infatti fortemente radicata nella cultura europea. Più che in termini di “correttezza” grammaticale, lo studio della melodia viene affrontato in termini di funzionalità ed efficacia espressiva: mentre le combinazioni armoniche sono regolate da un insieme di norme che consentono di distinguere una successione “corretta” da una successione “sbagliata”, i criteri di costruzione della melodia non vengono mai codificati in forma di regole esplicite. Una melodia può essere “povera” (Koch), “monotona” (Reicha), “naturale” (Mattheson), ma difficilmente si troverà un teorico disposto a fornire un esempio, adeguatamente motivato, di melodia “sbagliata”. La mancanza di un’adeguata teorizzazione della melodia, intesa come elemento dotato di una sua autonomia specifica, è tuttavia bilanciata da una più accurata riflessione sui criteri di formazione melodica in relazione alla trattazione di altri aspetti della costruzione musicale. Tali elementi, che hanno la funzione di fornire una struttura portante alla realizzazione dell’edificio melodico, variano in relazione al mutare delle prospettive prevalenti nell’orizzonte teorico di epoche ed autori: possono essere le regole della condotta delle parti nel contrappunto; l’armonia, con i suoi vari ordini di cadenze e modulazioni; oppure, i criteri di articolazione della fraseologia e della forma. Queste considerazioni evidenziano un aspetto metodologico di fondamentale importanza per lo studio della teoria della melodia in prospettiva storica: se si vogliono rintracciare elementi utili alla costituzione di una teoria melodica, occorre andarli a cercare nell’ambito della trattazione di altri aspetti del linguaggio musicale. Questa ipotesi trova numerose conferme nell’ambito della teoria italiana dei secoli XVIII e XIX: un caso emblematico è rappresentato da due trattati di Abramo Basevi, Introduzione ad un nuovo sistema d’armonia (1862) e Studj sull’armonia (1865), in cui, a dispetto del titolo, l’interesse dell’autore si concentra prevalentemente sull’analisi della melodia e, in particolare, sulle note estranee all’armonia. Per interpretare adeguatamente la funzione delle dissonanze melodiche, che sono le note più importanti dal punto di vista espressivo, occorre ampliare i confini della teoria armonica tradizionale attraverso la codificazione di una nuova teoria che l’autore definisce “meloarmonica”. Per conseguire questo obiettivo, Basevi chiama in causa il concetto di “percezione”: mentre la “sensazione” è un fenomento fisico legato alla capacità dell’orecchio di avvertire gli stimoli sonori, la “percezione” è un facoltà intellettuale che consente di stabilire un rapporto dialettico tra ciò che si sente e ciò che s’immagina (nell’idea, abbastanza pionieristica per la metà del XIX secolo, che le esperienze di ascolto precedenti contribuiscano a sedimentare nella nostra memoria un sistema strutturato di “attese”). Più che come note estranee all’armonia, dunque, le dissonanze non risolte possono essere interpretate come note “supplenti”: esse infatti suppliscono a una consonanza che il nostro orecchio non sente, ma che la percezione riesce comunque ad evocare nella nostra immaginazione. Nonostante alcuni aspetti lacunosi e contraddittori, la teoria di Basevi documenta un significativo sforzo di formalizzazione nell’ambito dell’analisi della melodia. Non solo perché la melodia è un campo di indagine poco frequentato dai teorici dell’epoca, ma anche per la tendenza a impostare l’analisi in relazione ai processi di ascolto e alla dialettica tra suoni presenti e suoni assenti (ma impliciti), precorrendo una linea di ricerca che diverrà dominante nel XX secolo. Le concept de mélodie et la réflexion sur son statut occupent une place de relief dans le débat critique et esthétique des siècles XVIII et XIX : des discussions passionnées se sont penchées sur les rapports entre musique et langage, le dualisme harmonie-mélodie, la fonction rhétorique des figures mélodiques, la valeur esthétique de la musique. Cependant, la centralité du concept de mélodie n’a pas donné lieu à une formalisation dans le cadre de la théorie et de la didactique de la composition, où l’étude de la mélodie est réduite à la portion congrue. Dans la culture européenne la création de la mélodie est en effet considérée comme un phénomène extérieur à la sphère de la spéculation rationnelle. L’étude de la mélodie est traitée moins en termes de “correction” grammaticale qu’en termes d’efficacité expressive. Tandis que les combinaisons harmoniques sont réglées par un ensemble de normes qui permettent de distinguer une succession “correcte” d’une succession “erronée”, les critères qui régissent la construction de la mélodie n’ont jamais été codifiés sous forme de règles explicites. Une mélodie peut être jugée “pauvre” (Koch), “monotone” (Reicha), “naturelle” (Mattheson), mais rarement un théoricien sera disposé à fournir un exemple motivé de “fausse” mélodie. L’absence d’une théorisation de la mélodie, lui reconnaissant son autonomie et sa spécificité, est cependant compensée par une réflexion plus aiguë sur les critères de formation mélodique par rapport à d’autres aspects de la construction musicale. Ces éléments, qui ont la fonction de constituer la charpente sur laquelle édifier la construction musicale, varient selon les perspectives dominantes dans l’horizon théorique des époques et des auteurs : ils peuvent concerner les règles de conduite des parties dans le contrepoint ; l’harmonie, avec ses ordres différents de cadences et de modulations ; ou bien les critères d’articulation de la phraséologie et de la forme. Ces considérations mettent en évidence un aspect méthodologique fondamental pour l’étude de la théorie musicale dans une perspective historique : pour repérer des éléments utiles à la constitution d’une théorie de la mélodie, il est nécessaire d’analyser des travaux concernant d’autres aspects du langage musical. Cette hypothèse trouve sa confirmation dans les travaux de théorie musicale, réalisés en Italie dans les siècles XVIII et XIX. Un cas emblématique est représenté par les deux traités d’Abramo Basevi : Introduzione ad un nuovo sistema d’armonia (1862) et Studj sull’armonia (1865), où en dépit des titres, l’intérêt de l’auteur se concentre sur l’analyse de la mélodie et, en particulier, sur les notes étrangères à l’harmonie. Pour interpréter la fonction des dissonances mélodiques, qui constituent les notes les plus importantes du point de vue expressif, il est nécessaire d’élargir l’horizon de la théorie traditionnelle de l’harmonie, par la codification d’une nouvelle théorie, que l’auteur définit de « mélo-harmonique ». Pour atteindre cet objectif, Basevi mobilise le concept de « perception ». Tandis que la « sensation » est un phénomène physique, lié à la capacité de l’oreille de saisir les stimuli sonores ; la « perception » pour sa part est une faculté intellectuelle qui permet d’établir un rapport dialectique entre ce qu’on entend et ce qu’on imagine (suivant l’idée, assez révolutionnaire pour la moitié du XIX siècle, que les expériences d’écoute contribuent à bâtir dans notre mémoire un système d’attentes structuré). Moins que comme des notes étrangères à l’harmonie, les dissonances laissées en suspens peuvent être interprétées comme des notes « suppléantes » : elles suppléent, en effet, à une consonance que notre oreille n’entend pas, mais que la perception réussit tout de même à évoquer dans notre imagination. Malgré quelques aspects lacunaires et contradictoires, la théorie de Basevi atteste un effort original de formalisation, dans le cadre de l’analyse de la mélodie. En premier lieu parce que la mélodie est un domaine d’étude très peu fréquenté par les théoriciens de l’époque, ensuite pour la tendance à mener une analyse en rapport avec les processus d’écoute et la dialectique entre sons en présence et sons en absence (mais implicites), anticipant ainsi une ligne de recherche qui s’imposera au XX siècle.

La fonction de la perception dans l’écoute de la mélodie: les théories d’Abramo Basevi

Susanna Pasticci
2013-01-01

Abstract

Il concetto di melodia occupa un posto di assoluto rilievo nel dibattito critico ed estetico dei secoli XVIII e XIX. La riflessione sullo status della melodia dà vita a discussioni dai toni accesi e appassionati, che investono tematiche complesse e di ampio respiro: i rapporti tra musica e linguaggio; il dualismo armonia-melodia; la funzione retorica delle figure melodiche e, più in generale, il valore estetico della musica. La centralità del concetto di melodia non si risolve tuttavia in un’adeguato sforzo di formalizzazione nell’ambito della teoria e della didattica della composizione, dove la trattazione della melodia occupa generalmente uno spazio molto esiguo. L’idea che la creazione melodica non sia un fenomeno riconducibile alla sfera della speculazione razionale è infatti fortemente radicata nella cultura europea. Più che in termini di “correttezza” grammaticale, lo studio della melodia viene affrontato in termini di funzionalità ed efficacia espressiva: mentre le combinazioni armoniche sono regolate da un insieme di norme che consentono di distinguere una successione “corretta” da una successione “sbagliata”, i criteri di costruzione della melodia non vengono mai codificati in forma di regole esplicite. Una melodia può essere “povera” (Koch), “monotona” (Reicha), “naturale” (Mattheson), ma difficilmente si troverà un teorico disposto a fornire un esempio, adeguatamente motivato, di melodia “sbagliata”. La mancanza di un’adeguata teorizzazione della melodia, intesa come elemento dotato di una sua autonomia specifica, è tuttavia bilanciata da una più accurata riflessione sui criteri di formazione melodica in relazione alla trattazione di altri aspetti della costruzione musicale. Tali elementi, che hanno la funzione di fornire una struttura portante alla realizzazione dell’edificio melodico, variano in relazione al mutare delle prospettive prevalenti nell’orizzonte teorico di epoche ed autori: possono essere le regole della condotta delle parti nel contrappunto; l’armonia, con i suoi vari ordini di cadenze e modulazioni; oppure, i criteri di articolazione della fraseologia e della forma. Queste considerazioni evidenziano un aspetto metodologico di fondamentale importanza per lo studio della teoria della melodia in prospettiva storica: se si vogliono rintracciare elementi utili alla costituzione di una teoria melodica, occorre andarli a cercare nell’ambito della trattazione di altri aspetti del linguaggio musicale. Questa ipotesi trova numerose conferme nell’ambito della teoria italiana dei secoli XVIII e XIX: un caso emblematico è rappresentato da due trattati di Abramo Basevi, Introduzione ad un nuovo sistema d’armonia (1862) e Studj sull’armonia (1865), in cui, a dispetto del titolo, l’interesse dell’autore si concentra prevalentemente sull’analisi della melodia e, in particolare, sulle note estranee all’armonia. Per interpretare adeguatamente la funzione delle dissonanze melodiche, che sono le note più importanti dal punto di vista espressivo, occorre ampliare i confini della teoria armonica tradizionale attraverso la codificazione di una nuova teoria che l’autore definisce “meloarmonica”. Per conseguire questo obiettivo, Basevi chiama in causa il concetto di “percezione”: mentre la “sensazione” è un fenomento fisico legato alla capacità dell’orecchio di avvertire gli stimoli sonori, la “percezione” è un facoltà intellettuale che consente di stabilire un rapporto dialettico tra ciò che si sente e ciò che s’immagina (nell’idea, abbastanza pionieristica per la metà del XIX secolo, che le esperienze di ascolto precedenti contribuiscano a sedimentare nella nostra memoria un sistema strutturato di “attese”). Più che come note estranee all’armonia, dunque, le dissonanze non risolte possono essere interpretate come note “supplenti”: esse infatti suppliscono a una consonanza che il nostro orecchio non sente, ma che la percezione riesce comunque ad evocare nella nostra immaginazione. Nonostante alcuni aspetti lacunosi e contraddittori, la teoria di Basevi documenta un significativo sforzo di formalizzazione nell’ambito dell’analisi della melodia. Non solo perché la melodia è un campo di indagine poco frequentato dai teorici dell’epoca, ma anche per la tendenza a impostare l’analisi in relazione ai processi di ascolto e alla dialettica tra suoni presenti e suoni assenti (ma impliciti), precorrendo una linea di ricerca che diverrà dominante nel XX secolo. Le concept de mélodie et la réflexion sur son statut occupent une place de relief dans le débat critique et esthétique des siècles XVIII et XIX : des discussions passionnées se sont penchées sur les rapports entre musique et langage, le dualisme harmonie-mélodie, la fonction rhétorique des figures mélodiques, la valeur esthétique de la musique. Cependant, la centralité du concept de mélodie n’a pas donné lieu à une formalisation dans le cadre de la théorie et de la didactique de la composition, où l’étude de la mélodie est réduite à la portion congrue. Dans la culture européenne la création de la mélodie est en effet considérée comme un phénomène extérieur à la sphère de la spéculation rationnelle. L’étude de la mélodie est traitée moins en termes de “correction” grammaticale qu’en termes d’efficacité expressive. Tandis que les combinaisons harmoniques sont réglées par un ensemble de normes qui permettent de distinguer une succession “correcte” d’une succession “erronée”, les critères qui régissent la construction de la mélodie n’ont jamais été codifiés sous forme de règles explicites. Une mélodie peut être jugée “pauvre” (Koch), “monotone” (Reicha), “naturelle” (Mattheson), mais rarement un théoricien sera disposé à fournir un exemple motivé de “fausse” mélodie. L’absence d’une théorisation de la mélodie, lui reconnaissant son autonomie et sa spécificité, est cependant compensée par une réflexion plus aiguë sur les critères de formation mélodique par rapport à d’autres aspects de la construction musicale. Ces éléments, qui ont la fonction de constituer la charpente sur laquelle édifier la construction musicale, varient selon les perspectives dominantes dans l’horizon théorique des époques et des auteurs : ils peuvent concerner les règles de conduite des parties dans le contrepoint ; l’harmonie, avec ses ordres différents de cadences et de modulations ; ou bien les critères d’articulation de la phraséologie et de la forme. Ces considérations mettent en évidence un aspect méthodologique fondamental pour l’étude de la théorie musicale dans une perspective historique : pour repérer des éléments utiles à la constitution d’une théorie de la mélodie, il est nécessaire d’analyser des travaux concernant d’autres aspects du langage musical. Cette hypothèse trouve sa confirmation dans les travaux de théorie musicale, réalisés en Italie dans les siècles XVIII et XIX. Un cas emblématique est représenté par les deux traités d’Abramo Basevi : Introduzione ad un nuovo sistema d’armonia (1862) et Studj sull’armonia (1865), où en dépit des titres, l’intérêt de l’auteur se concentre sur l’analyse de la mélodie et, en particulier, sur les notes étrangères à l’harmonie. Pour interpréter la fonction des dissonances mélodiques, qui constituent les notes les plus importantes du point de vue expressif, il est nécessaire d’élargir l’horizon de la théorie traditionnelle de l’harmonie, par la codification d’une nouvelle théorie, que l’auteur définit de « mélo-harmonique ». Pour atteindre cet objectif, Basevi mobilise le concept de « perception ». Tandis que la « sensation » est un phénomène physique, lié à la capacité de l’oreille de saisir les stimuli sonores ; la « perception » pour sa part est une faculté intellectuelle qui permet d’établir un rapport dialectique entre ce qu’on entend et ce qu’on imagine (suivant l’idée, assez révolutionnaire pour la moitié du XIX siècle, que les expériences d’écoute contribuent à bâtir dans notre mémoire un système d’attentes structuré). Moins que comme des notes étrangères à l’harmonie, les dissonances laissées en suspens peuvent être interprétées comme des notes « suppléantes » : elles suppléent, en effet, à une consonance que notre oreille n’entend pas, mais que la perception réussit tout de même à évoquer dans notre imagination. Malgré quelques aspects lacunaires et contradictoires, la théorie de Basevi atteste un effort original de formalisation, dans le cadre de l’analyse de la mélodie. En premier lieu parce que la mélodie est un domaine d’étude très peu fréquenté par les théoriciens de l’époque, ensuite pour la tendance à mener une analyse en rapport avec les processus d’écoute et la dialectique entre sons en présence et sons en absence (mais implicites), anticipant ainsi une ligne de recherche qui s’imposera au XX siècle.
2013
9782752101198
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