In questo studio si esamina il testo dell’art. 360 bis c.p.c., introdotto con la Legge n. 69/2009, che prevede due nuove cause di inammissibilità del ricorso per cassazione. Con la prima si dispone che “il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. L’interpretazione prevalente di tale disposizione è nel senso che ricorre il motivo d’inammissibilità in esame quando la censura proposta appare manifestamente infondata. Questa interpretazione è sottoposta a critica, osservandosi, tra l’altro, che essa finisce per confondere i profili attinenti al rito, di norma alla base di cause di inammissibilità, con i profili di merito del ricorso, cui si ricollega la manifesta infondatezza; formula, quest’ultima, che peraltro è estranea alla disposizione ora in discorso. Si propone, pertanto, una diversa interpretazione di tale disposizione – più coerente con l’intero sistema delle impugnazioni – secondo la quale essa intende prescrivere l’onere di specificità dei motivi di ricorso, nel senso che, quando la sentenza impugnata si è conformata all’orientamento della Suprema Corte, il ricorrente deve, a pena d’inammissibilità, analiticamente specificare le argomentazioni che, se fondate, sarebbero in grado di privare di base logica la sentenza stessa. Con la seconda causa d’inammissibilità l’art. 360 bis dispone che “il ricorso è inammissibile quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo”. L’interpretazione di questa formula, innovativa rispetto al nostro sistema, appare ancora più complicata. Escluso che la stessa restringa i motivi di illegittimità della sentenza per come previsti dall’art. 360 c.p.c., e che la stessa possa fondare il principio secondo cui la violazione della legge processuale rileva solo nella misura in cui la parte che lamenta tale violazione abbia subito un concreto ed effettivo pregiudizio alle sue possibilità di difesa, si propone una lettura della disposizione de qua che miri ad estendere le possibilità di accesso alla Corte laddove la violazione dei principi regolatori del giusto processo costituisca la base del motivo di ricorso proposto.

Sul c.d. filtro di ammissibilità del ricorso per cassazione

POLI, Roberto
2010-01-01

Abstract

In questo studio si esamina il testo dell’art. 360 bis c.p.c., introdotto con la Legge n. 69/2009, che prevede due nuove cause di inammissibilità del ricorso per cassazione. Con la prima si dispone che “il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. L’interpretazione prevalente di tale disposizione è nel senso che ricorre il motivo d’inammissibilità in esame quando la censura proposta appare manifestamente infondata. Questa interpretazione è sottoposta a critica, osservandosi, tra l’altro, che essa finisce per confondere i profili attinenti al rito, di norma alla base di cause di inammissibilità, con i profili di merito del ricorso, cui si ricollega la manifesta infondatezza; formula, quest’ultima, che peraltro è estranea alla disposizione ora in discorso. Si propone, pertanto, una diversa interpretazione di tale disposizione – più coerente con l’intero sistema delle impugnazioni – secondo la quale essa intende prescrivere l’onere di specificità dei motivi di ricorso, nel senso che, quando la sentenza impugnata si è conformata all’orientamento della Suprema Corte, il ricorrente deve, a pena d’inammissibilità, analiticamente specificare le argomentazioni che, se fondate, sarebbero in grado di privare di base logica la sentenza stessa. Con la seconda causa d’inammissibilità l’art. 360 bis dispone che “il ricorso è inammissibile quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo”. L’interpretazione di questa formula, innovativa rispetto al nostro sistema, appare ancora più complicata. Escluso che la stessa restringa i motivi di illegittimità della sentenza per come previsti dall’art. 360 c.p.c., e che la stessa possa fondare il principio secondo cui la violazione della legge processuale rileva solo nella misura in cui la parte che lamenta tale violazione abbia subito un concreto ed effettivo pregiudizio alle sue possibilità di difesa, si propone una lettura della disposizione de qua che miri ad estendere le possibilità di accesso alla Corte laddove la violazione dei principi regolatori del giusto processo costituisca la base del motivo di ricorso proposto.
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