Qualche anno fa, durante una giornata di studio sulla traduzione organizzata all'Università di Siena in onore di Yves Bonnefoy, rimasi colpito dal titolo di un manifesto che, nelle stesse aule in cui si svolgeva il nostro incontro, annunciava l'inizio di un convegno in materia di diritto di famiglia: "Comprendersi nelle relazioni di coppia". Mentre lo stavo osservando, si avvicinò uno studente, che mi chiese se per caso fossi uno dei relatori invitati a quella manifestazione. “Forse sì”, gli risposi. E in effetti, mi venne da pensare, quale migliore definizione, per indicare la relazione fra traduttore e tradotto? “Comprendersi nelle relazioni di coppia”. Ma cosa vuol dire “comprendersi”? cosa significa “relazione”? cosa intendiamo per “coppia”? Nell'impossibilità di imbastire anche solo una minima risposta a simili domande, vorrei lasciare da parte ogni riflessione di taglio teorico, per limitarmi ad alcuni rilievi desunti dalla pratica, o meglio, usando un termine caro ad Antoine Berman dall’esperienza. Nel suo saggio L'auberge du lointain, egli propone infatti di sostituire, alla coppia teoria/pratica, quella composta da riflessione/esperienza . Dunque, imposterò il mio intervento su un particolare tipo di esercizio che ho sviluppato nel corso degli anni: la cosiddetta traduzione a quattro mani, o meglio, una traduzione a quattro mani nella quale uno dei due soggetti ignori la lingua di partenza (il precedente più illustre, in area italiana è probabilmente costituito dalla versione di Giovanni Giudici dell’Eugenio Onieghin di Puskin, redatto grazie all’assistenza di Giovanna Spendel).

Intorno alla traduzione a quattro mani.

MAGRELLI, Valerio
2011-01-01

Abstract

Qualche anno fa, durante una giornata di studio sulla traduzione organizzata all'Università di Siena in onore di Yves Bonnefoy, rimasi colpito dal titolo di un manifesto che, nelle stesse aule in cui si svolgeva il nostro incontro, annunciava l'inizio di un convegno in materia di diritto di famiglia: "Comprendersi nelle relazioni di coppia". Mentre lo stavo osservando, si avvicinò uno studente, che mi chiese se per caso fossi uno dei relatori invitati a quella manifestazione. “Forse sì”, gli risposi. E in effetti, mi venne da pensare, quale migliore definizione, per indicare la relazione fra traduttore e tradotto? “Comprendersi nelle relazioni di coppia”. Ma cosa vuol dire “comprendersi”? cosa significa “relazione”? cosa intendiamo per “coppia”? Nell'impossibilità di imbastire anche solo una minima risposta a simili domande, vorrei lasciare da parte ogni riflessione di taglio teorico, per limitarmi ad alcuni rilievi desunti dalla pratica, o meglio, usando un termine caro ad Antoine Berman dall’esperienza. Nel suo saggio L'auberge du lointain, egli propone infatti di sostituire, alla coppia teoria/pratica, quella composta da riflessione/esperienza . Dunque, imposterò il mio intervento su un particolare tipo di esercizio che ho sviluppato nel corso degli anni: la cosiddetta traduzione a quattro mani, o meglio, una traduzione a quattro mani nella quale uno dei due soggetti ignori la lingua di partenza (il precedente più illustre, in area italiana è probabilmente costituito dalla versione di Giovanni Giudici dell’Eugenio Onieghin di Puskin, redatto grazie all’assistenza di Giovanna Spendel).
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