La legge organica n. 2003-696 e la legge 2003-697 si propongono di realizzare nella seconda camera parlamentare una migliore rappresentanza delle autonomie territoriali a livello nazionale. La riforma dei meccanismi costitutivi e del sistema elettorale del senato trovano, del resto, riscontro in un’accentuazione del processo di decentramento territoriale pluralistico, in specie di livello regionale (cfr. la legge costituzionale del 2003 e la sua implementazione attraverso leggi organiche e leggi ordinarie). Processo che, a sua volta, trae alimento dalle spinte centrifughe determinate dal processo di integrazione europea (che ha determinato, del resto, significative revisioni costituzionali: cfr. il titolo XV della Costituzione, artt. 88-1, 88-2, 88-3 e 88-4, dedicati alle Comunità Europee e ll’Unione Europea). In effetti, la decentralizzazione sembra offrire al senato della V Repubblica una nuova legittimazione e una difesa contro le accuse, frequenti nel passato, di scarsa rappresentatività, dovute soprattutto alla disomogeneità demografica dei collegi elettorali. Il senato, infatti, in quanto camera rappresentativa delle collettività territoriali non è tenuta al rispetto del principio «una testa, un voto». Piuttosto, il vero problema da affrontare è ora quello relativo ai soggetti da rappresentare per assicurare una migliore rappresentanza degli interessi territoriali. Sotto questo ultimo profilo il senato sembra «inchiodato» a «ritagli» territoriali ultrasecolari – i comuni e i dipartimenti – e sembra quindi inadatto alle sfide attuali della decentralizzazione. Non è raro, del resto, che in Francia si levino ancora voci a difesa del carattere giacobino della Repubblica francese o che esaltino il carattere nazionalistico dello Stato. Si può ben comprendere, dunque, che la Francia sia ancora considerata da gran parte della dottrina giuspubblicistica italiana ed europea come un paradigma dello stato nazionale accentrato. Al momento, infatti, non pare che le collettività territoriali francesi abbiano conquistato margini di autonomia lontanamente equiparabili a quelli di cui godono ormai da tempo le regioni in Italia o le comunitates autonomas in Spagna. Basti dire che le regioni francesi, solo recentemente costituzionalizzate, in virtù della già richiamata legge di revisione costituzionale del 2003, non dispongono di autonomia legislativa ma solo di potere regolamentare. Allo stesso modo, nonostante le recenti richiamate riforme, non pare che attualmente il senato francese possa essere considerato come una camera parlamentare veramente rappresentativa degli interessi e dei bisogni delle collettività territoriali: in effetti, i suoi meccanismi costitutivi e le sue attribuzioni ne fanno più una camera politica di compensazione e di riequilibrio delle decisioni assunte nell’assemblea nazionale che una camera delle autonomie territoriali; mentre i senatori sembrano, talvolta, più propensi a esercitare una forma di notabilato locale che a farsi interpreti degli interessi autonomistici delle collettività territoriali. In particolare, desta perplessità il ruolo, di fatto, riconosciuto al senato francese nella formazione dell’indirizzo politico legislativo e, a maggior ragione, il potere di veto riconosciuto costituzionalmente allo stesso per le leggi costituzionali (art. 89, II comma, della Costituzione) e le leggi organiche relative al senato (art. 46, IV comma, della Costituzione), attesa la mancata revisione in Costituzione della possibilità di un suo scioglimento anticipato, così come di adeguate modalità alternative per far valere una sua responsabilità politica. Dunque, il bicameralismo francese – così come d’altronde quello italiano – costituisce, attualmente, più un «antimodello» che un modello da imitare: in particolare, il senato della V Repubblica sembra in crisi di identità e alla ricerca di un riconoscimento politico oltre che di un ruolo più definito.

Decentralizzazione autonomistica e assetto del bicameralismo nella V Repubblica francese

PASTORE, Fulvio
2007-01-01

Abstract

La legge organica n. 2003-696 e la legge 2003-697 si propongono di realizzare nella seconda camera parlamentare una migliore rappresentanza delle autonomie territoriali a livello nazionale. La riforma dei meccanismi costitutivi e del sistema elettorale del senato trovano, del resto, riscontro in un’accentuazione del processo di decentramento territoriale pluralistico, in specie di livello regionale (cfr. la legge costituzionale del 2003 e la sua implementazione attraverso leggi organiche e leggi ordinarie). Processo che, a sua volta, trae alimento dalle spinte centrifughe determinate dal processo di integrazione europea (che ha determinato, del resto, significative revisioni costituzionali: cfr. il titolo XV della Costituzione, artt. 88-1, 88-2, 88-3 e 88-4, dedicati alle Comunità Europee e ll’Unione Europea). In effetti, la decentralizzazione sembra offrire al senato della V Repubblica una nuova legittimazione e una difesa contro le accuse, frequenti nel passato, di scarsa rappresentatività, dovute soprattutto alla disomogeneità demografica dei collegi elettorali. Il senato, infatti, in quanto camera rappresentativa delle collettività territoriali non è tenuta al rispetto del principio «una testa, un voto». Piuttosto, il vero problema da affrontare è ora quello relativo ai soggetti da rappresentare per assicurare una migliore rappresentanza degli interessi territoriali. Sotto questo ultimo profilo il senato sembra «inchiodato» a «ritagli» territoriali ultrasecolari – i comuni e i dipartimenti – e sembra quindi inadatto alle sfide attuali della decentralizzazione. Non è raro, del resto, che in Francia si levino ancora voci a difesa del carattere giacobino della Repubblica francese o che esaltino il carattere nazionalistico dello Stato. Si può ben comprendere, dunque, che la Francia sia ancora considerata da gran parte della dottrina giuspubblicistica italiana ed europea come un paradigma dello stato nazionale accentrato. Al momento, infatti, non pare che le collettività territoriali francesi abbiano conquistato margini di autonomia lontanamente equiparabili a quelli di cui godono ormai da tempo le regioni in Italia o le comunitates autonomas in Spagna. Basti dire che le regioni francesi, solo recentemente costituzionalizzate, in virtù della già richiamata legge di revisione costituzionale del 2003, non dispongono di autonomia legislativa ma solo di potere regolamentare. Allo stesso modo, nonostante le recenti richiamate riforme, non pare che attualmente il senato francese possa essere considerato come una camera parlamentare veramente rappresentativa degli interessi e dei bisogni delle collettività territoriali: in effetti, i suoi meccanismi costitutivi e le sue attribuzioni ne fanno più una camera politica di compensazione e di riequilibrio delle decisioni assunte nell’assemblea nazionale che una camera delle autonomie territoriali; mentre i senatori sembrano, talvolta, più propensi a esercitare una forma di notabilato locale che a farsi interpreti degli interessi autonomistici delle collettività territoriali. In particolare, desta perplessità il ruolo, di fatto, riconosciuto al senato francese nella formazione dell’indirizzo politico legislativo e, a maggior ragione, il potere di veto riconosciuto costituzionalmente allo stesso per le leggi costituzionali (art. 89, II comma, della Costituzione) e le leggi organiche relative al senato (art. 46, IV comma, della Costituzione), attesa la mancata revisione in Costituzione della possibilità di un suo scioglimento anticipato, così come di adeguate modalità alternative per far valere una sua responsabilità politica. Dunque, il bicameralismo francese – così come d’altronde quello italiano – costituisce, attualmente, più un «antimodello» che un modello da imitare: in particolare, il senato della V Repubblica sembra in crisi di identità e alla ricerca di un riconoscimento politico oltre che di un ruolo più definito.
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